Recensione: Hereafter
Tyrant – Hereafter: seppur non al livello del trittico magico che lo precede, formato da Legions of the Dead (1985) qui recensione, Too Late to Pray (1987) qui recensione e King of Kings (1996) qui recensione Hereafter si rivela album solido. Il ritorno dei defenderissimi californiani era atteso in maniera spasmodica dagli ultras della balconata legati al Metallo tradizionale e tradizionalista più esigente. D’altronde i Tyrant, a livello di immagine, a metà anni Ottanta avevano davvero pochi rivali. Basta dare un’occhiata alle foto d’epoca della band iper borchiata al di fuori e dentro il cimitero che ha poi fornito la copertina a Legions of the Dead per rendersi conto di quanto forte e metallaro fosse il look dei fratelli May & Co. Look ma anche sostanza, ovviamente, altrimenti non si va da nessun a parte. E i Tyrant non difettavano in nulla.
Hereafter esce quasi un quarto di secolo dopo l’ultima loro fatica, King Of Kings, ma il tempo, per i Tiranni, pare essersi fermato. Scorrendo la formazione permane il rammarico di non poter godere della prova vocale dello storico e iconico Glen May, personaggio che dire carismatico è poco, sostituito comunque da un grande come Robert Lowe, che fa la sua porca figura. Il resto della line-up annovera due assolute certezze quali Greg May (basso) e Rocky Rockwell (chitarra) mentre dietro la batteria siede Ronnie Wallace. Hereafter, fatto salvo qualche colpo a vuoto, dispensa sane dosi di Metallo, passando dall’heavy tout court all’epic con qualche tracimazione anche nel doom. Un ritorno gradito, quello dei Tyrant, senza dubbio, punteggiato da highlight quali “The Darkness Comes”, “Dancing on Graves“, “Bucolic” e la title track, sebbene quanto realizzato in passato dai quattro californiani permanga inarrivabile.
Stefano “Steven Rich” Ricetti