Recensione: Heritage
Heavy metal is the law: basterebbe questa semplice frase per descrivere il verbo perpetrato dagli umbri Hellraiser che, a cinque anni di distanza dall’interessantissimo debutto “Revenge of the Phoenix” e dopo essersi accasati presso la storica Underground Symphony, tornano a regalarci un’altra dose di acciaio purissimo, naturale evoluzione del percorso iniziato con il lavoro del 2014. I cinque defenders of the faith originari da Città di Castello fanno così ritorno in scena con un disco tutto nuovo, intitolato “Heritage”, presentato come un concept atipico, che ci apprestiamo ad approfondire in queste righe.
Come dicevamo, “Heritage” è stato annunciato come un concept atipico. Undici sono le tracce che lo compongono, di cui due interludi strumentali. I nove temi principali, pur non affrontando una storia che si sviluppa di canzone in canzone, presentano dei testi legati tra loro da un filo conduttore rappresentato da quella che può essere definita “eredità culturale”. Con questa seconda prova, infatti, gli Hellraiser hanno affrontato un tema affascinante: la necessità dell’uomo di raccontare, di tramandare le proprie esperienze. A prescindere dal periodo storico e dal luogo di provenienza, l’uomo ha sempre sentito la necessità di raccontarsi, trasmettendo le proprie conoscenze da padre in figlio, un’eredità da lasciare alle generazioni future. Ci troviamo quindi al cospetto di nove racconti, che arrivano da tradizioni e culture diverse, di epoche recenti o passate, accomunati da quell’eredità culturale citata in precedenza.
Parlando poi del lato prettamente musicale, i Nostri continuano sul sentiero iniziato con il disco di debutto. “Heritage” si rivela come un atto di fede incondizionata, una sorta di grido di appartenenza all’heavy metal più puro, muovendosi su partiture che riportano alla mente sia la scuola della NWOBHM che quella americana. Non a caso i primi nomi che vengono in mente durante l’ascolto dell’album sono Iron Maiden e Riot.
Rispetto al debutto gli Hellraiser evidenziano un songwriting più maturo, mettendo in mostra un chiaro processo di crescita, dove le influenze risultano meno marcate, mentre appare più chiaro il tratto personale della band. Sia chiaro, stiamo pur sempre parlando di heavy metal classico, non aspettiamoci quindi innovazioni o rivoluzioni musicali, quello che dobbiamo attenderci è un lavoro ben suonato e prodotto, messo a segno da una band che sa quello che vuole suonare e dove vuole arrivare. L’album poggia sull’ottimo lavoro delle sei corde del duo Tanzi-Brozzi, capace di esibire riff monolitici, assoli ben strutturati e avvincenti e parti arpeggiate curate. Il tutto viene valorizzato da una sezione ritmica precisa, in cui spicca l’opera di quel randellatore di pelli che risponde al nome di Riccardo Perugini, autentico valore aggiunto della band. Basta ascoltare alcune mazzate come ‘Zephyr’s Palace’, dove nel finale compare un abbozzo di “modernismo” che dona ulteriore aggressività alla canzone, ‘Ritual of the Stars’, ‘Plagues of the North’ o la conclusiva ‘Lady in White’ per trovare riscontro di quanto appena scritto; senza dimenticare la prova al microfono di Cesare Capaccioni. Il cantante si rivela un’ugola capace di raggiungere vette altissime, che sputa dosi di metallo tonante in tipico stile anni Ottanta. La lezione impartita da Rob Halford nei primi anni di quella gloriosa decade sembra essere stata assimilata a dovere dal singer tifernate.
Questi sono gli aspetti positivi di “Heritage”, che sapranno sicuramente soddisfare i palati più classici, elementi che vengono espressi e valorizzati quando la band decide di pigiare sull’acceleratore. Quando invece gli Hellraiser puntano a rallentare la velocità, proponendo pezzi più lenti e cadenzati, la qualità e il coinvolgimento delle composizioni tende a vacillare. È questo forse il difetto principale di “Heritage”, che dopo un inizio convincente tende a perdere sostanza nella parte centrale, in particolare dopo ‘Preludio’, recuperando poi nel finale con due autentiche sassate come le già citate ‘Zephyr’s Palace’ e ‘Lady in White’.
“Heritage”, quindi, ci regala una formazione dotata di interessanti capacità tecniche e di songwriting, con le idee chiare su quale sia il sentiero da percorrere, ma che deve ancora affilare al meglio la lama della propria accetta, in modo tale che ogni singolo colpo scagliato possa risultare letale. Gli Hellraiser sono sulla buona strada e siamo fiduciosi che il prossimo album ci regalerà una formazione al massimo della propria forma. Intanto non facciamoci scappare questo “Heritage”, i suoi capitoli migliori sapranno regalare emozioni. Siete avvisati, defender!
Marco Donè