Recensione: Hermitage
Dopo un lungo periodo di silenzio tornano in scena i portoghesi Moonspell, una delle formazioni più importanti dell’attuale scena metallica internazionale. Sono infatti passati quattro anni da “1755” – l’ultimo full length pubblicato dai lusitani – e tre dal live “Lisboa Under the Spell”. Un lasso di tempo piuttosto lungo, in cui sono successe molte cose in casa Moonspell. In questo periodo di “silenzio”, infatti, i cinque portoghesi hanno rilasciato delle “strane” dichiarazioni in merito al futuro della band. È come se i Nostri si fossero resi conto che gli anni passano e la loro carriera non può durare per sempre. Un pensiero che Fernando Ribeiro – il leader della formazione di Amadora – aveva espresso anche in una nostra intervista del 2018 [Intervista Moonspell – Fernando Ribeiro, n.d.r.]. Oltre a questo, nel 2020, Miguel Gaspar ha deciso di lasciare la band. Una perdita che ha toccato, e non poco, i fan: il batterista seguiva Ribeiro dal 1992, dagli esordi dei Moonspell. Al suo posto è arrivato il bravissimo Hugo Ribeiro che, nonostante abbia lo stesso cognome di Fernando, non è legato al cantante da nessun grado di parentela. In un contesto così delicato, poi, è arrivata la pandemia di Covid-19 che stiamo vivendo tuttora e che ha sicuramente inciso nella realizzazione del nuovo “Hermitage”, lavoro che ci apprestiamo ad analizzare in queste righe.
“Hermitage” è quindi un album scritto in un contesto particolare. Lo stesso Fernando Ribeiro se ne è reso conto, tanto che lo ha presentato come un disco nato in un periodo in cui l’umanità si credeva al centro di tutto, come se l’universo ruotasse attorno a lei. Non è così, però. Non è l’universo a ruotare attorno all’umanità, anzi, attorno all’umanità non ruota proprio un bel niente. E in questo periodo, in cui siamo obbligati a restare distanti, ognuno nel proprio eremo, lo abbiamo compreso. Stando alle parole del cantante portoghese, i Moonspell hanno quindi cercato di realizzare il miglior album che potessero fare in questo momento, in cui l’inverno della propria carriera è alle porte. Un lavoro il cui obiettivo è cercare di creare un contatto a distanza con i propri fan. Provare a entrare nelle loro case, cercare di raccontare – attraverso le tracce che compongono “Hermitage” – storie e riflessioni profonde.
Beh, senza lunghi e inutili giri di parole, possiamo dire che l’ambizioso obiettivo di Fernando e dei suoi Moonspell è stato centrato, pienamente! “Hermitage” è un autentico viaggio alla scoperta di noi stessi, un disco caratterizzato da un elevato spessore emotivo. Lo potremmo definire “filosofico” per l’approccio che i Nostri hanno usato sia nelle musiche, che nei testi. Un lavoro che potrà spiazzare ai primi ascolti ma, alla fine, saprà conquistare l’ascoltatore. Un album che, una volta metabolizzato, ha tutte le potenzialità per superare la prova del tempo e non diventare il classico disco “usa e getta” che tanto ha caratterizzato gli ultimi anni del metallo pesante.
Dal punto di vista artistico “Hermitage”, forse, è l’opera più ambiziosa creata dal quintetto lusitano, un platter che esce dagli schemi. I Nostri hanno infatti deciso di non seguire le mode e di non riproporre soluzioni già usate in passato. Hanno puntato a dare libero sfogo al proprio estro, cercando di creare un album “vivo”, in grado di trasmettere emozioni. In questo modo il disco risulta oscuro, riflessivo, cupo, ma allo stesso tempo sa essere melodico, maestoso ed epico.
Come dicevamo, “Hermitage” è un viaggio e, in quanto tale, al suo interno troviamo varie influenze, atmosfere e stili. Nei suoi oltre cinquanta minuti, infatti, incontriamo aperture dark, goth, rock, metal, il tutto condito con un pizzico di psichedelia, che affiora in alcuni passaggi dell’album. Un caleidoscopio in musica che non va assolutamente a snaturare l’anima dei Moonspell che, forse, mai come in questo lavoro riesce a brillare in tutta la sua oscura lucentezza. La maturità espressiva e compositiva che i Nostri riescono a sfoggiare in questo dodicesimo capitolo tocca vette elevatissime. Il tutto viene poi valorizzato dall’ottimo lavoro svolto da Jaime Gomez Arellano, in cabina di regia, che dona a “Hermitage” un suono curato, che si sposa alla perfezione con il concept del disco.
Difficile citare una canzone rispetto a un’altra, certo che tracce come ‘Common Prayers’ e ‘Entitlement’, assieme alla splendida ‘The Hermit Saints’, possono essere insignite al ruolo di manifesto dell’album. Ma come dimenticare la strumentale ‘Solitarian’, o l’eccezionale ‘Apophthegmata’? “Hermitage” è il classico disco che va ascoltato dall’inizio alla fine, a ripetizione. Un lavoro che non stancherà, tutt’altro: saprà acquisire maggior fascino, di volta in volta.
Spiccano inoltre le prove di Fernando Ribeiro al microfono e di Ricardo Amorim alla chitarra. I due sono i perfetti cantori del viaggio che risponde al nome “Hermitage”. Da sottolineare, in particolare, la prova del cantante portoghese che, dopo la parentesi “1755”, torna a utilizzare la voce pulita. In questo modo, alternando clean vocals e growl, può garantire quell’espressività che ha sempre contraddistinto i dischi dei Moonspell e che era venuta meno nel lavoro del 2017.
Come sottolineato più volte in sede di analisi, “Hermitage” è un autentico viaggio in musica, che ci permette di scavare in noi stessi, nella solitudine del nostro eremo. La bellissima copertina realizzata da Arthur Berzinsh ne è una chiara rappresentazione e permette ai Moonspell di mettere subito le cose in chiaro, a partire dall’impatto visivo del disco.
“Hermitage” è un lavoro di qualità eccelsa, che si attesta tra i punti più alti toccati dalla band lusitana, in tutta la sua carriera. E se dopo trent’anni di storia una formazione riesce a mettere a segno un album di tal fattura, senza cadere nell’autocitazione, senza seguire le mode del momento, beh, possiamo solo tributarle il meritato plauso. Se è proprio vero che i Moonspell sono entrati nell’inverno della propria carriera, vista la qualità espressa in questo dodicesimo disco non possiamo che augurarci che questa stagione possa durare il più a lungo possibile. Lunga vita ai Moonspell.
Marco Donè