Recensione: Het Zicht Van De Dood
Nati nel 2001, i belgi Natan giungono all’esordio discografico con questo “Et Zicht Van De Dood” presso la Iron Age Records dopo due miniCD registrati in proprio intitolati “Akeldama” e “Nevel”. Caratteristica principale, e fondamentale, della loro musica sono i testi, a molti del tutto incomprensibili (anche perché non presenti, se non per alcuni radi stralci) in quanto scritti in fiammingo, dialetto olandese parlato nella patria del gruppo.
Si comincia con “Grauwbaard’s Lied”, pezzo roccioso di black metal classico infarcito di riff dichiaratamente thrash (come ormai è sempre più classico anche presso la scena norvegese). L’inizio del disco è trascinante e coinvolgente, buona parte del merito va al lavoro delle chitarre, ma tutti i musicisti, compreso il singer Jonatan dimostrano si saperci fare confezionando un prodotto non particolarmente originale, ma sicuramente godibile e di qualità.
Qualcosa in più sotto il profilo dell’originalità lo mostra la successiva “Volkskracht” in cui per la prima volta fanno capolino prima le chitarre acustiche, che donano a quel breve passaggio un riconoscibilissimo tono folk, poi la voce pulita, anche se molto profonda.
La proposta musicale dei Natan allarga quindi il proprio ventaglio di proposte divenendo più complessa e strutturata. Non è però finita qui e le successive tracce ci mostrano quali altre frecce abbiano a disposizione questi belgi.
Su inizio e fine di “Velden Van Bloed”, per esempio, troviamo la voce femminile di Claudia accompagnata quasi esclusivamente da strumenti folkloristici. L’effetto è, in questi brevi passaggi alternati a sfuriate black di prima categoria, di stare ascoltando una qualche canzone di paese o una ballata medievale. Dopo una bella prova come questa, si spera che la separazione dal gruppo (Claudia ne è la ex tastierista e flautista, sostituta su questo disco da elementi diversi) non precluda ulteriori collaborazioni in futuro.
Degna di segnalazione anche la strumentale “Mijn Lot”. Questa volta, a intrecciarsi, troviamo chitarre acustiche, elettriche e violino, con un sottofondo di batteria e basso. La traccia è delicata ma al contempo intensa e, soprattutto con l’ingresso del violino, riesce a coinvolgere anche l’ascoltatore meno avvezzo alla melodia.
A chiudere l’album un lungo brano che nasconde una ghost-track. “Doodfeest” è una song epica di circa cinque minuti. Ne seguono 10 di silenzio prima di uno con un po’ di chitarre e qualche effetto elettronico che si rivela essere in realtà niente di che. Anzi, il pezzo è talmente poco ispirato e interessante da lasciare un po’ con l’amaro in bocca dopo un disco che ci aveva abituati a ben altra qualità.
Per concludere i Natan sfornano un disco d’esordio davvero molto interessante. La caratteristica predominante della loro proposta musicale è un black tecnico di grande classe che fa suoi alcuni elementi della scena contemporanea. A fianco di ciò, se questo non bastasse, pongono anche alcuni spunti personali che compaiono qui e là lungo la tracklist a impreziosire il tutto. Sicuramente un ascolto consigliato agli estimatori di un genere che, grazie a queste contaminazioni, sta rialzando la testa.
Tracklist:
01 Grauwbaard’s Lied
02 Volkskracht
03 Eenzaam
04 Velden Van Bloed
05 De Hoge
06 Mijn Lot
07 In Het Zicht Van De Dood
08 Ondergang
09 Doodsfeest
Alex “Engash-Krul” Calvi
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