Recensione: Heterodox

Di Daniele D'Adamo - 13 Agosto 2012 - 0:00
Heterodox
Band: Coram Lethe
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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80

Chi l’avrebbe mai detto che, partendo nel 1984 da una band le cui finiture erano grezze come la carta vetro a grana grossa (Possessed), si sarebbe arrivati, nel 2012, a un ensemble composto da musicisti colti e raffinati come i Coram Lethe? Probabilmente nessuno.
Tuttavia, Gabriele Diana (vocals), Leonardo Fusi (electric and acoustic guitars, keyboards, piano and vocals), Francesco Miatto (drums, jambe, tambourine, maracas, congas and vocals), Filippo Occhipinti (electric and acoustic guitars, mandolino and vocals) e Federico Stiaccini (bass) – oltre a Marco Gammarota (didgeridoo) – rappresentano le infinite possibilità evoluzionistiche che possiede il genere madre, e cioè il death metal.

In questo caso, la progressione stilistica si spinge ben addentro nei territori della musica etnica, così come si può immediatamente percepire dallo stupendo quanto evocativo artwork di “Heterodox” – concepito da Fusi e realizzato da OLIO – che comprende, sia per la copertina, sia per il booklet, delle immagini che non avrebbero potuto meglio figurare i temi elaborati dallo stesso Fusi.
Parimenti accurata, anche, la realizzazione musicale del lavoro. La label genovese Buil2Kill Records ha, infatti, immesso sul mercato un oggetto il cui processo produttivo è stato altamente professionale in ogni passaggio. La registrazione a cura di Alessandro Guasconi e Jacopo Pettini presso i Virus Studio di Monteriggioni (SI), e la masterizzazione eseguita da Wojtek e Slawek nei polacchi Hertz Recording Studio sono biglietti da visita che non ammettono repliche in merito.

Il suono ipnotico e vibrante del didgeridoo, che apre l’album, dà subito l’idea che quello che si sta per compiere sarà un viaggio lungo, dal percorso per nulla scontato ma, soprattutto, emotivamente intenso e avventuroso. Questa sensazione, di fatto, altro non è che la manifestazione romantica dell’enorme personalità che possiede il combo toscano. Un carattere prepotente quanto profondo che, tenuto conto dell’esperienza derivante dalla pubblicazione di altri tre album (“Reminiscence”, 2000; “The Gates Of Oblivion”, 2005; “… A Splendid Chaos”, 2009), definisce un sound complesso, consistente, maturo e personale.
Le idee messe in campo da Diana e i suoi compagni sono davvero tante ma, proprio per la chiara visione della meta, non si perdono per strada anzi coagulandosi in uno stile che, di fatto, può definirsi in sostanza unico. Certo, alcune dissonanze chitarristiche ricordano i Voivod, e l’inserimento di strumenti tribali non è proprio una novità; pur tuttavia – ed è questo, ciò che conta – il risultato finale non è mai né scontato, né banale.
Evidentemente, tale modo di affrontare la questione musicale porta a un lavoro la cui assimilazione non è immediata. Occorrono, difatti, parecchi passaggi sotto il laser per trovare la giusta accordatura con le otto lunghe tracce che compongono “Heterodox”. Il che non è per nulla un difetto: piano piano, a poco a poco, diventa naturale accompagnare con piacere il quintetto di Certaldo nel suo lungo viaggio entro i meandri del pensiero umano. Un piacere che, dopo aver terminato per la prima volta l’ascolto del platter dall’omonima opener sino alla suite finale, “Monolith Radiant”, sembra invece molto lontano da potersi godere.
Peraltro, la minuziosa ricerca della giusta nota da inserire nel giusto momento e il maniacale perfezionismo dei singoli membri non toglie freschezza, agilità e colore a un death metal ruvido, robusto, a volte anche aggressivo ma mai esasperato, che spesso richiama – con successo – le sonorità più ortodosse del death stesso ma, pure, del thrash e dell’heavy classico.   
Affrontare le varie canzoni di “Heterodox” non è un esercizio semplice: la loro mutabilità congenita e la ricchezza di particolari di cui esse sono pregne possono senz’altro disorientare, tuttavia una volta che si prende un po’ di coraggio si dipana, sotto gli occhi, lo sterminato Mondo immaginato dai Coram Lethe.

Una vastezza che rende il CD longevo e distante da certe produzioni noiose e artefatte. Navigare fra i flutti di correnti impetuose che si chiamano “The Stench Of Extinction” o “The Anticompromise”, per esempio, è un’avventura che, per quanto faticosa, alla fine non stanca mai.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Hipnomagik 7:23         
2. The Stench Of Extinction 3:58         
3. Where The Worms Crawl 6:52     
4. Bare 7:27     
5. The Anticompromise 6:29         
6. Light in Disguise 4:39     
7. Waxed Seal 5:50     
8. Monolith Radiant 7:51       
    
Durata 50 min.

Formazione:
Gabriele Diana – Voce
Leonardo Fusi – Chitarra
Filippo Occhipinti – Chitarra
Federico Stiaccini – Basso
Francesco Miatto – Batteria

Musicisti addizionali:
Marco Gammarota – Didgeridoo in “Hipnomagik”
 

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