Recensione: Heyoke
La musica dei Wounded Knee è ispirata alla cultura dei Pellirosse (da cui viene tratto il nome del gruppo che letteralmente significa ginocchio ferito, un luogo negli Stati Uniti in cui è stata perpetrata una strage da parte degli Yankee nel 1890). Le sette tracce sono pervase da un tema comune, quello di personaggi diversi che in diverse epoche sono sempre andati controcorrente, lottando costantemente per salvare la propria vita e quella degli altri; in particolare la band italiana si riferisce a tutti i bambini vittime delle guerre, Cavallo Pazzo, Tommaso Campanella, Albert Hoffman, Anna Mae (una donna indiana che sembra sia stata uccisa in condizioni mistoriose probabilmente dall’FBI). Da qui deriva il titolo del disco Heyoke, parola lakota che significa appunto contrario: venivano chiamati così coloro che in questa tribù facevano tutto al contrario, dal parlare al cavalcare al salutare. Il genere di musica proposta va forse oltre il progressive rock indicato sopra, devo dire infatti che le idee dimostrate sono proprio parecchie e le potenzialità altrettanto promettenti, anche se a mio modesto parere il peso di questo album può essere misurato solo a partire dalla quarta traccia Achtung Banditen! cantato in lingua madre da Paolo Ferrarese, ex voce solista del gruppo. I brani che occupano le prime tre posizioni infatti lasciano un poco a desiderare in quanto ad originalità del songwriting, che spesso e soprattutto nella traccia iniziale, suona di già sentito e ripetitivo. Tutta un’altra musica con il sopraggiungere della traccia sopra citata, l’atmosfera di questo pseudoconcept album comincia improvvisamente a crescere svelando un lavoro di batteria e chitarra pregevole, laddove il pianoforte non resta solo un dettaglio ma sostanzioso veicolo di accompagnamento. In questo frangente la musica sembra decisamente meno ingenua, il gruppo prova che suonare insieme da tanti anni non può che favorire il feeling tra i vari componenti del gruppo, Anna-Mae è forse il brano che meglio rappresenta questo concetto. Diversi momenti in questo pezzo mi ricordano in maniera incontrastabile le sonorità generali dell’ultima uscita dei Ritual, solo che mentre qui si parla di indiani d’Americani in quel caso la tematica era orientale. Niente da dire sul piano tecnico e su quello sonoro, il disco è ben suonato e la produzione più che accettabile. Prova che tuttavia c’è ancora molto da lavorare è che la traccia più completa del disco corrisponde con quella della durata maggiore, qui compaiono tutti gli elementi presentati in precedenza in maniera disconnessa: violini e tastiere ipnotiche, distorsioni graffianti e ritmiche accattivanti, ottima l’interpretazione di Paolo Ferraresi.
Andrea’Onirica’Perdichizzi
TrackList:
01. Come In/Curley
02. Perceptions Of Reality (The Beast)
03. Red Stained Childhood
04. Achtung Banditen!
05. Apo-Logy
06. Anna-Mae
07. Sententia