Recensione: Hic Sunt Leones
Dopo solo un anno dal debutto, tornano i Focus Indulgens, una tra le formazioni più interessanti del panorama doom del nostro paese. Non pago del successo ottenuto con il disco di esordio, il terzetto ha optato per un deciso cambiamento di rotta, prendendo le sonorità dei primi pezzi e mischiandole con vigore al progressive rock italiano anni settanta e alla psichedelia, in un cocktail plumbeo contenente Black Sabbath, Premiata Forneria Marconi e Pentagram. Da evidenziare, inoltre, l’abbandono della lingua inglese in favore di quella italiana, scelta coraggiosa per una band agli esordi, data la minore appetibilità commerciale del nostro idioma. Soffermiamoci qualche istante prima di iniziare ad ascoltare il disco e osserviamo la stridente copertina del disco, un’alienante e disperata figura klimtiana che si staglia su di un fondale realizzato in maniera elementare, con un titolo che quasi scompare nella notte immaginaria. Leggermente a disagio, lasciamo che le note comincino a fluire…
Il solenne organo d’apertura della title-track instilla un immediato senso di sacralità che perdura per quasi due minuti. Lo strumentale prosegue in crescendo, con toni composti che avvinghiano le interiora dell’ascoltatore, stringendole sempre di più in una spirale di bassi pulsanti e chitarre taglienti. Quando sembra che non ci sia più uscita, giunge salvifica la cavalcata finale, che ci strappa dalle atmosfere opprimenti createsi e ci catapulta nell’immaginifica Il Re E La Quercia. Le sonorità cupe del primo brano si accostano a momenti di più ampio respiro, trasportandoci direttamente negli anni settanta. L’impronta del progressive italiano dei tempi d’oro è forte; soprattutto nelle parti in cui è presente il cantato, sembra di aver tra le mani un vinile d’epoca, sia per le scelte compositive sia per le modalità di esecuzione. È netta la contrapposizione tra i momenti in cui è presente il cantato e quelli puramente strumentali, in cui l’aria si appesantisce e le atmosfere si incupiscono notevolmente. Un incipit lento, di devastante e inarrestabile potenza comincia a pulsare nelle casse dello stereo mentre le note di Figlio Di Cagna fuoriescono nell’aria, breve preludio a un brano bizzarro, in cui i toni si impastano e si separano incessantemente, creando curiose geometrie armoniche che spaziano dal rock più spedito al doom più oscuro, passando per inframmezzi sussurrati e intimistici. Il risultato complessivo è affascinante, la capacità del terzetto di amministrare agevolmente cambi di ritmo e di tono permette di lasciar scorrere nove minuti senza che il brano diventi mai farraginoso. Inutile resistere, meglio lasciarsi irretire e farsi accompagnare dalle suggestioni musicali del pezzo, sino alla successiva Calendimaggio, un’inquietante e malevola dichiarazione di sdegno, cruda e scabra nella sua esecuzione, che concede tregua all’ascoltatore solo a metà brano, dove giunge a squarciare le tenebre uno strumentale in cui la tastiera fa da padrona e la chitarra si affianca al basso in un rutilante e scoppiettante assalto progressive, in grado di esaltarci a un livello profondo, prima che il terreno ceda improvvisamente sotto i nostri piedi e ci lasci precipitare negli abissi bui della conclusione. L’epilogo sabbathiano si dissolve in una nuova introduzione, vitale ed energica, caratterizzata dal melodioso suono del flauto che segnala l’avvio di Un Profeta Dal Cosmo.
La traccia è, forse, la più decisa e ariosa dell’intera produzione, intensa e partecipata, riesce a coinvolgere nonostante, a dirla tutta, insista un po’ troppo nel riproporre la stessa struttura ritmica. Lo psichedelico finale cresce e si gonfia tra bassi pulsanti e distorsioni, accompagnandoci allucinati al pezzo successivo: Era Autunno. L’avvio soffocante del brano si dipana tra atmosfere fumose e rarefatte in cui ci muoviamo ancora storditi dalla conclusione della canzone precedente. Tutto sembra accadere lontano da noi, al rallentatore, scivoliamo in una trance meditativa accompagnata pacate percussioni, fino al nuovo attacco dell’organo, che segnala il punto di partenza per un’esplosione di energia che ci scuote e ci scorta, facendoci recuperare l’attenzione grazie alla splendida citazione del Preludio della suite per violoncello n.1 di Bach e al sapiente inserimento di riff potenti e vigorosi. Un breve singulto di delirio lisergico ci accosta alla lunga suite finale: Vinsanto. In un quarto d’ora, il terzetto sfodera tutti i conigli che ancora nascondeva nel cilindro: se la prima parte è assimilabile al doom più tradizionale, il brano ha sviluppo tutt’altro che lineare. Oltre alle ormai definite venature progressive, troviamo un folto sottobosco di richiami, dal blues al rock più spedito, passando per fraseggi che ci portano, di volta in volta, lungo spiagge tropicali o nell’entroterra iberico, gocce di musica che vengono composte e si uniscono in un’inarrestabile ondata sonora che non sembra dover aversi mai interrompere e che, proprio per questo, non può che avere un termine improvviso e secco.
Il disco è concluso, abbiamo varcato il confine, superato le lande dei leoni ed esplorato nuovi territori. La seconda prova dei Focus Indulgens è davvero un ottimo disco, curato e intrigante, riesce a calamitare la nostra attenzione e farci venire voglia di riascoltarlo più e più volte. Il connubio tra sonorità più oscure, psichedelia e progressive è stato realizzato in maniera encomiabile, gli elementi si bilanciano egregiamente e danno vita a un disco dal sapore nostalgico che, però, si reinventa e riesce a inserirsi nel presente, senza sembrare semplicemente una sterile riproposizione di fasti passati. I piccoli difetti che si possono riscontrare durante l’ascolto sono quasi irrilevanti e non riescono a penalizzare la riuscita complessiva. Propongo un applauso in piedi per Hic Sunt Leones, ma senza perdere troppo tempo…devo tornare ad ascoltarlo.
Damiano “kewlar” Fiamin
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Tracce
1. Hic Sunt Leones (03:52)
2. Il Re E La Quercia (05:13)
3. Figlio Di Cagna (09:16)
4. Calendimaggio (06:24)
5. Un Profeta Dal Cosmo (08:29)
6. Era Autunno (06:44)
7. Vinsanto (15:00)
Parte I. Un Mare Di Incenso Copriva Le Croci
Parte II. Povero Piccolo Pellegrino
Parte III. Neve
Parte IV. E Quindi Uscimmo A Riveder Le Stelle
Formazione:
Carlo Castellani (voce, basso elettrico, flauto dolce, organo, pianoforte)
Edoardo Natalini (voce, batteria, percussioni)
Federico Rocchi (chitarre classiche, chitarre elettriche, armonica a bocca)