Recensione: High ‘n’ Dry

Di Wasted625 - 5 Dicembre 2003 - 0:00
High ‘n’ Dry
Band: Def Leppard
Etichetta:
Genere:
Anno: 1981
Nazione:
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90

I Def Leppard sono stati indubbiamente un importante gruppo negli anni 80, la band che più di ogni altra contribuì all’affermazione del metal come genere di punta negli USA, e questo pur provenendo dalla Gran Bretagna, a differenza degli altri pesi massimi dell’epoca. Inizialmente amatissimi in madre patria e rivali dei colleghi Iron Maiden (Harris & co. stamparono “Soundhouse tape” proprio dopo aver visto il successo raggiunto dall’ep autoprodotto dei “Leopardi Sordi”), vennero cacciati via a bottigliate dal celebre Reading Festival del 1980 per esersi venduti al dollaro Yankee, cominciando la tournee di supporto all’album negli USA e non in Inghilterra.
Band NWOBHM, figlia tanto di Priest, Sabbath e Thin Lizzy, quanto di Mott the Hoople, Slade e David Bowie, proveniva dalla Sheffield più degradata e povera. Sul palco i Def Leppard erano un concentrato di furia e ferocia (ascoltare il bootleg “Rock on the line” per credere), per questo attacati dalla stampa inglese, che li definiva un ammasso di teppisti e drogati, dagli atteggiamenti sessisti e fascistoidi. E non tutte le accuse erano immotivate. La band si è spesso trovata ad affrontare risse (su tutte quella in cui in il singer Joe Elliot si prese una coltellata in un pub), incidenti (il drummer Rick Allen perse un braccio la notte di S. Silvestro nel 1984, ma, come è noto, continuò a suonare) e morti (il guitar god Steve Clark perse la vita con un misto di alcol e droga nel 1990), tutte cose che avrebbero stroncato chiunque, ma non i nostri, i quali si trovano attualmente con un curriculum di 50 milioni di copie vendute, e scusate se è poco.
Il loro secondo disco (questo “High’n’dry”), va alla grande negli States (doppio platino in un anno) e viene mal accolto in madre patria. Messe da parte le sonorità pesanti, ma raffinate, del disco d’esordio, i Leps decidono di affidarsi al producer degli Ac/Dc “Mutt” Lange (marito e produttore di Shania Twain) per registrare un disco grezzo, marcio e fottutamente diretto. La miscela tra Ac/Dc e punk, condita da cori in stile Queen è delicata come un gessetto che stride su una lavagna, e l’opener “Let it go” ne è il manifesto.
Raffinata come un pezzo dei Motorhead, la song delinea la rabbia che il combo albionico aveva all’epoca, il pezzo spinge sulle chitarre di Clark e Willis con continui crescendo, sui quali la voce di Elliot si erge come uno sboccato predicatore di periferia, con un sermone a base di sesso mercenario e droga. “Another hit’n’run” è un pezzo ancora più heavy nel suo incedere di cassa e chitarre distorte, che cedono il posto ad un ingannevole momento inziale arpeggiato, per poi ripartire come un caterpillar impazzito. Notevole il solo del sottovalutatissimo Steve Clark (R.I.P.). La title track è un brano di derivazione Ac/Dc al 100%, ma ci mette del suo con il suo incedere marziale e cadenzato. Il testo non parla di droga o risse da strada, ma è un inno all’alcol (in slang il titolo vuol dire, “Ubriaco e in crisi di astinenza” ), chi direbbe che il gruppo è lo stesso dei giorni nostri?
“Bringin’ on the heartbreak” pone le basi per quelle che saranno le grandi power ballads americane degli anni ’80, strofa arpeggiata, crescendo nel bridge ed esplosione nel ritornello. Ancora una volta il solo di Clark brilla per intensità. Ed è proprio il biondo chitarrista a farla da padrone nello strumentale successivo “Switch 625”, in cui ogni singola nota suona più potente della precedente, estremamente efficace nella sua stradaiola semplicità.
Il lato b del disco si apre con “You got me running”, momento più rilassante, che getterà le basi del pop metal di cui i Leps saranno padroni negli anni a venire. “Lady Strange”, song dal titolo equivoco, è uno dei pochi pezzi a portare la firma dello sfortunato batterista Rick Allen (attualmente suona meglio lui con un barccio solo, che tanti batteristi con tutt’e due). Il pezzo è quello che meglio definisce lo stile del gruppo: riff melodici ma potenti, cantato grintoso, ritornello di presa immediata, e continui innalzamenti sonori, che fanno sembrare che il pezzo aumenti di velocità (vedi la parte centrale), ingannando l’ascoltatore. L’oscura “Mirror, mirror”, ed il suo riff sulfureo mettono in luce la capacità del gruppo di scegliere arrangiamenti di grande respiro anche su pezzi apparentemente semplici.
“On through the night” è uno scarto del disco precedente, tanto che verrà in seguito rinnegata dalla band, ma dimostra come non solo i Maiden siano capaci di creare grandi cavalcate metalliche e imprevedibili cambi di tempo. La conclusiva “No no no” è una song proto-thrash (quello vero, di “Kill’em all”, per intenderci), in cui a farla da padrone è l’ugola ferina di Elliott. Ridicolo pensare che oggi il singer dia il suo meglio nelle ballad…
Negli anni a seguire la band pubblicherà due dischi cardine degli anni ’80, “Pyromania” ed “Hysteria”, registrando vendite da capogiro (insieme i due dischi contano oltre 27 milioni di copie vendute), e stadi sold out in tutto il mondo, dividendosi con i Maiden il ruolo della band più celebre degli anni ’80 (per chi non mi credesse ci sono i vecchi numeri di Kerrang e Circus), insieme, ovviamente, agli altri mostri sacri (Van Halen, Ac/Dc, Priest; Metallica…). Man mano i Def Leppard persero la loro ferocia degli esordi, ma continuarono a sfornare grandi album, certo che, però, ascoltare l’ultimo “X” dopo questo “High’n’dry”, lascia un certo sorriso ironico sulle labbra.

Tracklist:
Let it go
Another hit’n’run
High’n’dry
Bringin’ on the heartbreak
Switch 625
You got me running
Lady strange
On through the night
Mirror, mirror
No no no

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