Recensione: Higher Ground
Nome storico quello dei Bonfire.
Assieme ad Axxis, Mad Max, Jaded Heart e Victory, i rappresentati di un modo di fare hard rock prettamente teutonico che ha saputo, negli anni, raccogliere parecchi consensi e costruire un seguito decisamente fedele ed attento.
Una storia che si perde lontano nel tempo, sino ai primissimi anni settanta. Ed una band che ha vissuto sin qui molte vite diverse.
Esordi hard rock, formazioni in costante cambiamento, un periodo di massimo fulgore nei dorati anni ottanta con vista sui primissimi novanta.
Fama e successo che avevano portato il gruppo del chitarrista Hans Ziller – fondatore e unico membro superstite sin dal 1972 – ad essere considerata la più importante di Germania assieme a Scorpions ed Accept.
Dal 1996 in poi le cose sono un po’ cambiate. La ribalta è diventata meno prestigiosa ed i riflettori hanno puntato altrove. I Bonfire di Hans Ziller hanno tuttavia continuato ad esistere, cambiando spesso pelle, pubblicando album spesso interessanti e proseguendo una carriera musicale sempre dignitosa e fatta di buona musica.
“Higher Ground” è il diciassettesimo tassello di una vita passata a scrivere canzoni che, in questa nuova metamorfosi, assume per la prima volta il patrocinio della rinomata Frontiers Music. Sono passati un po’ di anni dal precedente “Fistful of Fire“, invero buon disco, che aveva segnato l’ultimo passaggio in compagnia di Alexx Stahl, ottimo cantante dal timbro molto vicino a quello del celebre Klaus Meine.
Con il nuovo cd, i Bonfire presentano il nuovo singer di origini greche Dyan Mair (vero nome Kostas Matziaris) in una serie di brani inediti, dopo averne già ascoltato l’ugola nelle reissue di alcuni classici della band di Inglostadt uscite nel corso dell’ultimo biennio.
L’impressione è quella di una rinnovata impennata metallica. Chitarre ruvide, suoni quadrati, i Bonfire – al netto delle consuete dosi di melodia – sembrano voler giocare con l’heavy ed il power teutonico, mettendo in mostra spigoli ed asperità sinora mai frequentati.
L’opener “I Will Rise” in effetti, ha molto poco dei classici Bonfire dell’epoca Claus Lessmann.
Ruvidità, velocità, aggressività. Poco a che vedere con il rock melodico delle origini.
Un bene o un male, lo deciderà il gusto di ognuno. Personalmente questa versione corazzata non ci è apparsa affatto malvagia.
Preferibile tuttavia, quando Ziller ricorda ancora come scrivere armonie fresche e con sprazzi melodici come udibile nell’ottima title track, canzone dotata di un ritornello con il marchio “teutonic rock” inciso in piena evidenza. O ancora meglio nelle frizzanti “I Died Tonight”e “Fallin” pezzi che finalmente ci riconsegnano i Bonfire come li ricordavamo, a cavallo di brani carichi di atmosfere anni ottanta e cori ultra melodici.
Le cannonate di “Lost Control” e di “Jealousy” riportano il gruppo tedesco nei pressi di una rinnovata versione dei Masterplan, mentre si scende su tonalità quasi doom nella sulfurea e sabbathiana “Come Hell of High Water“. Sinceramente il passaggio che ci ha convinto meno per una certa staticità nel ritornello ripetuto all’infinito. Sebbene il finale dalle sonorità alla Zakk Wylde risollevi almeno in parte una canzone leggermente fuori contesto.
Il buon up tempo di “Spinnin in the Black” dichiara un riuscito equilibrio tra rock melodico ed heavy, prima di dare spazio alla conclusione riservata alla reissue di “Rock n’Roll Survivor”, pezzo edito nel 2020 che in questa nuova versione acquisisce risvolti più “power” rispetto all’originale.
Due parole anche per la ballad d’ordinanza, intitolata “When Love Comes Down”, pezzo dall’incipit acustico che pur godendo di ottima profondità di suono ed un crescendo interessante, non brilla per particolari meriti. Un lento canonico che francamente abbiamo già incontrato molte altre volte nella nostra vita di assidui ascoltatori.
I Bonfire, tralasciando le tante parole, suonano sempre da Dio, va detto. Ziller ha nel socio di chitarre Frank Pané il perfetto compagno d’armi, mentre la sezione ritmica formata dal veterano Ronnie Parkes e dal nuovo ingresso Fabio Alessandrini, viaggia come un treno. Nulla da obiettare sul singer, il già citato Dyan Mair, protagonista di un’interpretazione che dona un taglio maggiormente heavy alle composizioni della band tedesca.
Tempo di bilanci quindi.
Il nuovo cambio di pelle dei Bonfire è l’ennesima operazione condotta con sapienza e padronanza. “Higher Ground“, in effetti, è un buonissimo disco, con alcuni momenti assai godibili ed un’anima metallica che ringiovanisce i contorni di un marchio storico come quello fondato eoni fa dal maestro Hans Ziller.
In un panorama ipertrofico, esagerato ed affollatissimo, i Bonfire dimostrano di aver comunque ancora una valida ragione per esistere.
Ma soprattutto di invecchiare in modo decisamente dignitoso.
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