Recensione: Hilal
Il metallo è sempre più transnazionale. Dopo che un amico mi ha introdotto alla scena death degli Emirati Arabi Uniti (sì, avete
capito bene) ecco che mi trovo per le mani questo Hilal, disco di esordio degli Arkan che porta orgogliosa sul retro la dicitura di arab
metal. In realtà di mediorientale in questo album ci sono solo i cognomi dei musicisti (in realtà cittadini francesi a tutti gli
effetti) e, appunto, la musica: non siamo di fronte dunque all’esordio del mondo islamico in un genere prettamente europeo, ma piuttosto
all’esperimento di cinque transalpini che cercano di incorporare in un sound di base quasi brutal gli echi della musica algerina e
marocchina, con strumenti tradizionali e quant’altro. Il risultato che viene fuori è un death pesantissimo ed altrettanto atmosferico,
che molto ricorda i Behemoth, anche se in una salsa evidentemente diversa. Assenti o quasi invece sono i riferimenti ai Nile (non fatevi
ingannare da alcuni dei titoli delle canzoni) il cui sound fuorioso e velocissimo è ben lontano dalle atmosfere cupe e rallentate di
questo platter.
Si comincia con Groans of the Abbyss ed immediatamente si viene posti di fronte ad una mazzata sonora non indifferente: intro
di sola voce (naturalmente in lingua mediorientale) e proseguo ultrapesante con ritmica a fondomanico suonata su chitarre che più
ribassate non si potrebbe. Un esordio coi fiocchi a cui però non segue uno svolgimento altrettanto azzeccato: i nostri decidono infatti
di puntare su pezzi mediamente lunghi (7 su 12 le tracce dalla durata di 6 minuti e oltre) nei quali alle sfuriate più pesanti si
alternano momenti giostrati tra voci pulite, strumenti etnici e quant’altro. Alle volte ci si trova davanti ad esperimenti molto
riusciti, in altri casi invece sembra di assistere all’operazione di una band che tenta di stupire il suo pubblico inserendo melodie
scontate all’interno della propria proposta, puntando sul fatto che il metallaro medio non ha molta confidenza con la musica araba e
dunque è facile a stupirsi quando sente un sitar (pardon, una mandole) che suona un paio di minori armoniche. Questo è il caso di
Lamma Bada, mentre nella precedente Lords Decline troviamo ad accompagnare una voce femminile un’esibizione chitarristica
che poco ha a che fare con le atmosfere da Mille e una notte, ma molto deve invece al flamenco. Gli Arkan diventano efficacissimi quando
si lanciano in pezzi brutali e non prolissi, come ad esempio Chaos Cypher, mentre mancano il bersaglio quando si dilungano
cercando quella che sembra essere una commistione tra il death metal e le suggestioni di Loreena Mc Kennitt in pezzi come
Marco Polo.
Andando a concludere posso dire che gli Arkan mostrano ottime qualità e si candidano a diventare una band di punta del panorama death
che più strizza l’occhio alle atmosfere epiche ed agli arrangiamenti elaborati con strumenti non elettrici (Behemoth, Septic Flesh…).
Essi però devono limare le loro strutture, inseguendo maggiormente la sostanza e forse anche diminuendo la durata di alcuni pezzi,
nonchè togliere qualche stacchetto sinceramente evitabile che sa un po’ di tentativo a buon mercato di stupire l’ascoltatore con
sonorità che solitamente non passano molto sul mercato occidentale. Le qualità comunque ci sono, e si vedono già con questo disco,
quindi il consiglio è di tenere d’occhio questa band, potrebbe darvi molti piaceri.
Tracklist:
1- Groans of the Abbyss
2- Lords Decline
3- Minstress of the Damned Souls
4- Lamma Bada “Under the Spell of Haughtiness”
5- Tied Fates
6- The Seven Gates
7- Athaoura “Shaped by the Hands of Gods”
8- Chaos Cypher
9- Defying the Idols
10- El Houndou
11- Native Order
12- Amaloun Jadid