Recensione: History Of A Time To Come

Di Federico Mahmoud - 25 Marzo 2005 - 0:00
History Of A Time To Come
Band: Sabbat
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
88

L’equazione ‘thrash europeo = scuola tedesca’ è una formula che inganna spesso l’ascoltatore attratto dagli anni d’oro del genere, condannando alla memoria di pochi seguaci le gesta di tanti altri gruppi pur meritevoli di considerazione.
Basta infatti ruotare di poco un ipotetico mappamondo per imbattersi in un Paese che, nell’arco di un decennio, ha offerto un solido contributo ad un movimento musicale in rapida ascesa – e destinato a bruciarsi altrettanto velocemente: per chi non l’avesse ancora capito, quel Paese è l’Inghilterra.
Gloriosa patria dei giganti dell’hard rock prima e madre orgogliosa di quella breve ma intensa esplosione metallica che risponde al nome di New Wave Of British Heavy Metal poi, l’Inghilterra ha reagito con fatica al repentino cambio di testimone che, nella seconda metà degli anni ’80, ha attirato oltre-oceano le preferenze del pubblico. Il boom del Bay Area thrash ha messo in ginocchio una scena per anni sul trono della musica dura (con ovvie eccezioni per i complessi più affermati sul mercato internazionale), relegando all’oscurità promettenti musicisti e decretando la fine inevitabile di molte carriere.
Detto questo, nonostante la Germania abbia rappresentato in quegli anni il massimo in termini di qualità e quantità per il Vecchio Continente (è doveroso ammetterlo), il metallo britannico ha avuto la sua parziale rivincita, scommettendo su pochi nomi. Qualche esempio? Onslaught, Xentrix, Slammer, Hydra Vein, Re-Animator, D.A.M., Acid Reign e i protagonisti di questa recensione, i Sabbat, quasi certamente i migliori del lotto.

La band si forma a Nottingham nel 1985 e ruota attorno alla carismatica figura di Martin Walkyier (in futuro leader dei folk-master Skyclad), indiscusso punto di forza della formazione assieme al chitarrista Andy Sneap, ad oggi celebre per la sua fama di produttore (senza contare i suoi trascorsi nei Fozzy e nei Godsend). Dopo un biennio di dura gavetta, con una sola pubblicazione all’attivo (l’acerba demo-tape Magic In Practice And Theory) ma tanti concerti nel circuito underground locale, i Sabbat raccolgono le prime soddisfazioni nel 1987, quando sono dati alle stampe un 7” (Blood For The Blood God, venduto con il magazine White Dwarf e prodotto addirittura dalla Games Workshop!) e il fortunato Fragments Of A Faith Forgotten, ep autoprodotto che si segnala per un’entusiastica recensione sulle pagine del (fu) glorioso ‘Kerrang!’. Il 3-tracce in questione inaugura un’originale ricetta a base di thrash metal pagano e teatrale, frutto della passione del frontman per tutto ciò che è arcano e profuma di Medio Evo; una formula che, nonostante una carriera troncata sul più bello, consentirà al combo inglese di primeggiare con merito in casa propria e di non temere troppo la concorrenza estera. Una terza demo-tape, Stranger Than Fiction, conferma la bontà della proposta dei nostri, che firmano un contratto con l’onnipresente Noise Records – sinonimo di qualità assoluta in quegli anni – e si chiudono in studio per il primo full length, non prima di aver pubblicato uno split con i tedeschi Vendetta (altro nome da tenere d’occhio), venduto con il numero 27 di Metal Forces.
History Of A Time To Come esce ufficialmente il 20 aprile 1988, e, a partire dalla coloratissima copertina firmata da John Blanche, dimostra di avere tutte le carte in regola per guadagnarsi un posto nelle top 10 di fine anno. Il nuovo materiale segue il percorso tracciato dalle precedenti registrazioni, anche se il passo in avanti in termini di song-writing è notevole: il risultato finale è un platter dove ogni episodio risulta perfettamente inserito in un collage di stravaganti pièce teatrali, mirabilmente condotte da un’intensa interpretazione di Martin Walkyier. Il tutto condito dal riffing muscolare e vivace di mr. Sneap, a ricordare che la matrice resta un solido thrash metal che non fa prigionieri.

L’incipit è affidato in grande stile a A Cautionary Tale, una possente cavalcata già ammirata sulla seconda demo-tape e riproposta per l’occasione con l’aggiunta di una breve introduzione recitata. Il brano è una riuscita rivisitazione in musica della vicenda del Dottor Faust, leggendaria figura apparsa sul finire del Cinquecento in alcune opere intrise di suggestioni luterane (tra tutte il Volksbuch vom Doktor Faust, 1587) e poi ri-adattata nel celebre lavoro dell’elisabettiano Cristopher Marlowe, Doctor Faustus (1588), che ispirerà Goethe. La storia è ben nota a tutti: Faust è uno studioso infaticabile e ambizioso, che vende l’anima a Lucifero pur di scoprire l’Arcano e aver padronanza delle arti proibite; alla scadenza del contratto, aperte le porte dell’Inferno, il protagonista si pente però della sua scelta, chiedendo il perdono divino che, puntualmente, gli è negato. L’opener ripercorre con intelligenza le tappe essenziali della tragedia, a partire dai classici scontri verbali tra i due angeli consiglieri (una sorta di coscienza ambivalente) per finire con le offerte tentatrici di Mefistofele, braccio destro di Satana, che spinge il personaggio principale all’auto-distruzione. Assolutamente rimarchevole, in questo senso, la prestazione dietro il microfono di Walkyier, bravo a musicare l’opera (con tanto di arcaismi ereditati dalle edizioni originali) e a prestare la voce ai vari personaggi – i (pochi) filtri passano evidentemente in secondo piano.
Con la successiva Hosanna In Excelsis la musica torna ad essere l’attrazione principale, merito di una manciata di riff micidiali firmati Andy Sneap: quattro minuti di Euro-thrash senza tregua, culminanti nel break centrale posto esattamente a metà. Senza dubbio uno degli episodi migliori del platter, e a giudicare dal titolo (volutamente provocatorio, bastano poche righe del testo per capirlo) non poteva essere altrimenti.
Andamento più cadenzato per Behind The Crooked Cross, che vanta un ottimo lavoro della sezione ritmica, composta da Frazer Craske (basso) e Simon Negus (batteria). Le liriche tradiscono l’amore di Walkyer per la filosofia occulta (la citazione di Helena Petrovna Blavatsky, illustre esponente teosofica nel XIX secolo, non è casuale) e includono una velata critica al Cristianesimo che rasenta la misantropia; l’interpretazione del frontman è pittoresca ed avvincente (lo stile del futuro Skyclad è un misto di scream e growl inclassificabile, riconducibile solo in rari frangenti all’ugola di Mille Petrozza) e si sposa efficacemente con le lugubri scorribande chitarristiche di Sneap, che nel finale non rinuncia a premere l’acceleratore, regalando una sfuriata thrash in piena regola.
Filtra un po’ di melodia da Horned Is The Hunter, introdotta da una serie di arpeggi che in parte stemperano l’atmosfera malsana dell’album (ricreata anche per merito di una produzione grezza ma dannatamente genuina). La struttura del brano, nonostante gli oltre otto minuti di durata, si rivela piuttosto lineare, essendo tutta basata su un riff di estrazione tipicamente classica (à la Grave Digger dei tempi andati) che si ripete ciclicamente, incorniciando le numerose strofe.
I For An Eye è una tempesta travolgente che si abbatte improvvisa sull’ascoltatore: cinque minuti scarsi in cui sporadici rallentamenti fanno da contraltare a un’inarrestabile marcia scandita dai battiti minimali della batteria, al punto da rendere perlomeno stravagante (ma in fin dei conti azzeccata) la scelta di inserire un assolo semi-acustico in chiusura. L’occasione per Walkyier è quella di trattare un tema scottante: la condanna divina di Lucifero a sovrano dell’Inferno. Il biondocrinito singer si conferma per l’ennesima volta abile a recitare la parte del menestrello, dimostrandosi bravo attore oltre che intelligente poeta – leggere le parti del protagonista per credere.
Non cambia di una virgola il discorso con For Those Who Died, song già nota al pubblico inglese e qui riproposta senza particolari stravolgimenti. Il titolo vuole ricordare i crimini della Santa Inquisizione che, secoli addietro, ha mietuto numerose vittime tra le popolazioni di fede cristiana: ‘My innocence the victim of their superstitious fears, religious persecution for the past three hundread years, preaching peace and mercy ‘neath the shadow of the knife, a papal reign of terror – a slaughter in the name of Christ’ accusa il frontman dei Sabbat con l’incredulità della vittima sacrificale; il ritornello, classicissimo nella sua forma, è una dolorosa constatazione di impotenza.
La strumentale A Dad Man’s Robe è il terreno ideale per le mitragliate di Andy Sneap, cui va riconosciuto un gusto non comune nel comporre riff massicci come monoliti d’acciaio: una bella sorpresa per chi è abituato a skippare tracce di questo tipo.
Conclusione in pompa magna con la bellissima The Church Bizarre, forse il capitolo più vicino a certo thrash metal tedesco d’annata. Walkyier spara le ultime cartucce sulle religioni rivelate, smascherando nelle vesti di prestigiatore una farsa – la vendita delle indulgenze – che costituisce ancora oggi una piaga per la società intera: magistrale, a questo proposito, la simbiosi testi-musica, che fa di questa composizione una delle più ispirate dell’intero lp.

History Of A Time To Come è un’alternativa di prim’ordine allo strapotere della scuola teutonica nell’ambito del thrash metal europeo, un platter che ogni fanatico del genere dovrebbe possedere all’interno della propria collezione. Chi ama testi intelligenti e impegnativi, sorretti da una base musicale ispirata e coinvolgente, non se lo lasci sfuggire. Buon ascolto!

Track-list:
01 Intro
02 A Cautionary Tale
03 Hosanna In Excelsis
04 Behind The Crooked Cross
05 Horned Is The Hunter
06 I For An Eye
07 For Those Who Died
08 A Dad Man’s Robe
09 The Church Bizarre

Ultimi album di Sabbat

Band: Sabbat
Genere:
Anno: 1989
85