Recensione: Hologram

Di Carlo Passa - 16 Luglio 2023 - 10:19

Hologram è il quinto album dei losangelini Edge Of Paradise di Margarita Monet e si assesta lungo la linea solcata dai propri predecessori: una combinazione iper-adrenalinica di symphonic industrial ed electro-metal che, detta così, potrebbe far storcere il naso a molti dei lettori più tradizionalisti.
In vero, gli Edge Of Paradise sono degli ottimi professionisti, capaci di mettersi nelle mani di eccellenti produttori che sanno trarre il meglio da composizioni forti di ritornelli pomposi e gonfiati fino all’eccesso da arrangiamenti modernissi, suoni compressi e una voce acuta, troppo acuta.
Nel complesso, il recensore di turno deve lottare tra il proprio cuore conservativamente metallico, che getterebbe Hologram dalla finestra, e l’obiettività professionale, che vi dirà che Hologram è un discreto disco di rock aggressivo americano del 2023.
Ed è, tuttavia, obiettivo che i pezzi del disco si assomigliano un po’ tutti, con quell’alternarsi di strofe-ritornelli orecchiabili e parti più riflessive, il tutto rovinato dal continuo sbraitare di una cantante certo dotata, ma decisamente mal utilizzata, come Margarita Monet.
La title track è un bel pezzo, soprattutto perché arriva senza alcun pregresso carico di note e stupisce volentieri l’ascoltatore che, tuttavia, all’altezza Soldiers Of Dangers è già tentato dal passare ai brani successivi.
Se The Faceless gioca un po’ con il Gothic, uscendone non proprio vincitrice, Dark fa il verso ai Within Temptation, aggiungendo un pizzico di Industrial che contribuisce in questo caso a dare sostanza a un pezzo non indimenticabile.
Unbeatable ha un bel ritornello che fa battere il piedino, mentre Don’t Give Up On Me è un mid-tempo evocativo e, ancora, gothicheggicante che, alla fine, risulta pure piacevole.
E così via, fino alla conclusiva, buona Another Life.
Insomma, io Hologram non lo riascolterò, ma non escludo che ad alcuni di voi possa piacere, soprattutto in virtù di melodie tutto sommato valide, seppur sepolte sotto un magma indistinto di arrangiamenti e, lo ripeto, inutili sbraitamenti della Monet. Se questa è Los Angeles oggi, davvero lontani sono i tempi d’oro del Sunset Strip: si stava meglio quando si stava meglio.

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