Recensione: Holy Land
Dopo il clamoroso debutto “Angels Cry“, avevo numerose aspettative da questo “Holy Land“. Sarebbero stati in grado di mantenere l’alto livello compositivo e musicale presentato nel loro debut-album? Sarebbero stati in grado di migliorare ulteriormente? Sarebbero rimasti fedeli al loro stile o avrebbero tentato una nuova strada? Beh, io penso che il lavoro che sto per recensire sia un misto di tutto questo.
Il suono è molto simile a prima, ma con notevoli influenze “folk” brasiliane che rendono questo album il più progressive della loro carriera. La voce di Matos è ad altissimi livelli, anche se qualcuno pensa che sia troppo alta, per me è semplicemente cristallina e pulita. E’ stata enfatizzata la struttura delle canzoni coprendo un vasto spettro di sound, dalle classiche speed-song come “Nothing To Say” e “Z.I.T.O” alle composizioni progressive come “Silence And Distance” e “Holy Land” fino al capolavoro di “Carolina IV“, in cui si mescolano ritmi folk, chitarre pesanti, archi e molti altri tipi di sonorità. Tutto questo dimostra anche come si possa essere originali e sfornare un capolavoro senza prendere eccessivo spunto dai maestri degli anni ’80/’90.
Anche i testi sono notevoli, trattando come argomento l’inizio delle conquiste europee in Brasile, e meritano quindi un’attenta lettura. Non sono sicuro che si tratti di un vero e proprio “concept album” ma comunque le varie tracce sono connesse una all’altra a formare un’unica atmosfera che permea tutto il disco.
Passiamo ad un’analisi delle canzoni:
Si parte con un’intro molto evocativa, “Crossing“, che con suoni di fulmini e temporale ci scaraventa nella veloce “Nothing To Say“, uno dei cavalli di battaglia degli Angra che spesso la propongono come opener nei live. Si passa poi a “Silence And Distance“, una canzone triste e melanconica con sonorità folk e una partenza lenta e suadente.
Si passa quindi al piccolo capolavoro “Carolina IV“, 10 minuti in cui gli Angra hanno messo tutto il prog che hanno nel sangue con sound brasiliano e continui cambi di tempo durante tutta la canzone. Arriviamo quindi a “Holy Land” la title-track che parte subito con flauti, tamburi e piano per calarci in un’atmosfera sud-americana che pur essendo presente in tutto il disco qui si manifesta nella sua magnificenza (mi ricordo al Gods del ’97 Matos & C. che suonavano i loro tamburi a inizio canzone….commovente). Segue “The Shaman“, unica canzone che non riesco ad apprezzare dell’album, forse a causa di un sound troppo pesante e “grezzo” rispetto al resto delle canzoni. Probabilmente la canzone meno melodica dell’album. Traccia numero sette è “Make Believe“, drammatica e disperata nel suo grido, una delle canzoni più passionali della band brasiliana.
Con “Z.I.T.O.” si ritorna invece alla classica speed-song facile da cantare e seguire in concerto, veramente una bella canzone. L’album si dirige verso la conclusione e così le canzoni si alleggeriscono e diventato più soft come “Deep Blue” e “Lullaby For Lucifer” che si possono definire i lenti del disco, con l’ultima che assomiglia addirittura ad una ninna-nanna.
In conclusione si può dire che “Holy Land” per il popolo del metallo non raggiunge il livello emozionale e qualitativo di “Angels Cry” (anche se io lo preferisco a quest’ultimo), ma è sicuramente un capolavoro del genere, un disco che tutti dovrebbero avere, o almeno aver sentito una volta.
Io vi consiglio di ascoltarlo molte volte.
Tracklist:
01) Crossing
02) Nothing To Say
03) Silence And Distance
04) Carolina IV
05) Holy Land
06) The Shaman
07) Make Believe
08) Z.I.T.O.
09) Deep Blue
10) Lullaby For Lucifer
Written by David “Enkidu” Bossi