Recensione: Horizons
Con questo “Horizons”– di fresca pubblicazione e dalla copertina semplice ma evocativa – tornano a ruggire i danesi Anubis Gate.
Il nuovo lavoro assemblato dal quartetto, segna ufficialmente l’esordio in studio con il gruppo (se si esclude l’EP, intitolato “Sheep”, pubblicato lo scorso anno), del batterista Morten Gade Sørensen (già visto in passato alla corte di gruppi come Wuthering Heights e Pyramaze) e del chitarrista Michael Bodin, entrambi pronti a mettere le proprie capacità tecniche al servizio di un album che si preannuncia oltremodo interessante.
Contraddistinto da una produzione nitida e curata, l’album spalanca le porte della musica con la sognante “Destined To Remember”, traccia già apparsa nell’EP apripista che esplode in un turbinio di mistiche emozioni dettate dall’accurata ricerca delle melodie condotte dalla voce del bravo Henrik Fevre, oltre che da arrangiamenti orchestrali in cui si evidenzia talvolta una carica psichedelica avvolgente. Una partenza non di facile assimilazione ma sicuramente notevole.
Con la seguente “Never Like This (A Dream)”, il gruppo dimostra quanto le tastiere siano fondamentali nel proprio sound, implementando elementi elettronici volti a creare un’atmosfera magnetica, in cui trovano ampio spazio gli ipnotici riff macinati dalle due chitarre, consueto sfondo a melodie vocali sempre piacevoli all’ascolto.
L’oscura “Hear My Call”, rappresenta uno dei momenti più potenti di questa sesta release prodotta dal combo danese: in questa occasione, infatti, sono le chitarre a prevalere sulle tastiere, sfociando in un break strumentale ricco di pathos, contraddistinto da un guitar solo acustico di ottima fattura che cede poi il passo ad una serie di virtuosismi accompagnati con buona prestanza da una sezione ritmica molto precisa.
Le atmosfere si fanno enigmatiche nelle note dell’articolata “Airways”, brano dalla struttura complessa, interamente giocata su repentini cambi di tempo ed ottimi passaggi elettro acustici che conducono l’ascoltatore al cospetto di un refrain melodico e avvincente.
La decisa “Revolution Come Undone”, riporta il gruppo su sonorità più decisamente Heavy e (per una volta) relativamente orecchiabili, seppur inserite all’interno di una struttura in continua evoluzione.
Guidato da una buona vena creativa, con la bella “Beach Of Faith” il gruppo danese prosegue agevolmente verso la profonda “Mindlessness”, nuovo episodio di ottimo Heavy/Progressive Metal atmosferico, che fa il paio con la diretta e melodica title track,
La conclusione si palesa infine con la lunghissima e contorta “A Dream Within A Dream”, che a sua volta precede l’elettro acustica e psichedelica “Erasure”, interessante chiusura di un album fresco e dinamico, pur se probabilmente penalizzato da un songwriting molto contorto ed elitario per essere apprezzato anche al di fuori della cerchia di seguaci del Progressive Metal più puro e tradizionalista.
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