Recensione: Hot space
Premetto che sono un grande fan del gruppo britannico e premetto che il recensito è tutto fuorchè un album hard rock, ma mi sembrava giusto recebsirlo per far notare che anche nelle migliori rock-band capitano i passi falsi. Questo è senza ombra di dubbio il peggior album mai fatto dai Queen, registrato a Monaco di Baviera, dove i quattro musicisti si sono fatti trascinare dalla vita notturna molto intensa, ma hanno combinato poco di valore ( e mi duole tantissimo dirlo!). Si nota che i Queen non sono nelle condizioni ideali per fare un lavoro valido, le idee sono confuse e molto approssimative, per cui si finisce per cedere in maniera eccessiva al sound tipico degli anni 80. Il disco ha una matrice chiaramente Black, genere musicale molto amato da Deacon e Mercury, ma gli arrangiamenti elettronici sono eccessivi e soffocanti. Ne è un esempio il primo pezzo dell’album “Staying power”, un brano funk molto freddo e decisamente troppo schematico e quadrato a causa dell’inserimento dei fiati sintetici e di una ritmica troppo convenzionale. Molto meglio la versione live, con freddie Mercury che sostituisce i fiati con potenti vocalizzi. Altri brani che sottolineano il momento di crisi (anche esistenziale) del gruppo sono “Body language”, “Dancer” e “Action this day” che fanno soltanto intravedere il loro potenziale: le incursioni elettroniche le privano della necessaria freschezza. Anche le canzoni più melodiche ed affini allo standard sonoro dei Queen, come “Las palabras de amor” e “Life is real”, sono un po’ penalizzate da arrangiamenti perlomeno discutibili o affrettati. Nella prima delle due canzoni non mi piace per nulla la fredda tastiera che accompagna la voce di Freddie: sarebbe stato meglio un più caldo pianoforte che avrebbe anche avvicinato di più la dolce musica al testo, dedicato allo scomparso John Lennon; “Las palabras de amor” è un brano che mi piace parecchio però sarebbe potuto essere molto migliore con la scelta di un arrangiamento più adatto a questa tenera canzone d’amore. Un filler piacevole è “Calling all girls” che però non è nulla di memorabile, anzi… Qualche episodio abbastanza convincente comunque c’è (stiamo sempre parlando dei Queen, una grande rock band!): a partire dalla celeberrima “Under pressure” scritta e cantata con David Bowie durante una jam session, un brano molto diretto, ben suonato, con un memorabile ed inconfondibile giro di basso; è da citare anche l’interessante e poco convenzionale “Back chat”, un brano funky dance in cui May si esibisce in un assolosia melodico che vigoroso, in linea con l’atmosfera ballabile di tutto il brano. Molto bella è anche “Cool cat” di Deacon e Mercury, con atmosfere raffinate dove il vocalist affronta registri vocali altissimi, degni della black music al femminile. Infine l’unico vero episodio hard rock del disco: “Put out the fire” di May che condanna la libertà di usare le armi negli USA, è un episodio un po’ manieristico, ma la bella e ritmata musica rock si sposa bene con il testo di condanna. da qui partiranno brani successivi molto validi come “Hammer to fall” e “Tear it up”.
Questo è un album che non mi convince per niente, ma molto importante per il gruppo che capirà i propri errori e tornerà a realizzare musica efficace fin dal successivo album “The works”, per poi arrivare ad una fine di carriera strepitosa dal punto di vista musicale (e “Innuendo” ne è un esempio).