Recensione: Houston II
Gli svedesi Houston si sono imposti nel 2011 come una delle più avvincenti realtà dell’ambito del melodic-rock, grazie ad un esordio eponimo che li ha visti repentinamente sollevarsi di una spanna, nella considerazione degli appassionati, al di sopra di tanti gruppi dediti all’AOR più zuccheroso. Il consenso di pubblico e critica si è poi mantenuto saldamente sugli stessi livelli anche per il successivo mini – album, infarcito di cover, dal titolo Relaunch.
Due anni dopo l’esordio il cantante Hank Erix ed il batterista Freddie Allen tornano a cimentarsi sulla lunga distanza del full-length, con un nuovo lavoro intitolato laconicamente “Houston II”.
In questa occasione il tastierista e produttore Ricky Delin, già collaboratore del duo primigenio, viene definitivamente reclutato come componente a pieno titolo della band; non si sottrae a dare il proprio prezioso e persistente contributo pure l’ascia del raffinato presenzialista Tommy Denander, mentre le quattro corde del basso sono affidate a Soufian Ma’aoui.
Non mancano gli apporti di diversi altri musicisti, compresa qualche accattivante ugola femminile.
Lo sforzo creativo degli Houston si concretizza in un’opera che, come titolo e grafica “bostoniana” – equivalenti all’esordio – fanno intuire, si sovrappone stilisticamente all’opera prima, offrendo la stessa identica corposa dose di melodia, raffinatezza, orecchiabilità e devozione nei confronti di Toto, Journey, Survivor e Boston.
Verrebbe, insomma, quasi voglia di barare e di “copiare ed incollare” la recensione del lavoro precedente, ma non renderemmo, così facendo, giustizia alle fatiche dei melodic-rockers svedesi, i quali pare abbiano selezionato in maniera estremamente severa il materiale proposto all’interno di un ampio ventaglio di tracce composte.
In effetti, il songwriting di “II” appare sfavillante, e le canzoni, pur se dal punto di vista del feeling si dimostrino parecchio omogenee tra loro e simili a quelle del lavoro d’esordio, si palesano, sul piano compositivo, centrate e, soprattutto, ciascuna dotata della propria precisa personalità che la rende ben distinguibile dalle altre.
Glory, tanto per cominciare, è un midtempo che regala un riff limpidissimo di tastiere su cui si stagliano voci dall’impatto cristallino. La chitarra lavora con raffinata discrezione e non mette in ombra il proficuo lavoro delle tastiere, poste in primo piano.
I’m Coming Home conferma i ritmi intermedi, e s’incentra ancora sull’ uso terso della voce solista e dei cori, i quali disegnano una melodia dischiusa e solare sulla quale i tasti d’avorio restano ancora una volta sugli scudi. Nel brano fanno capolino influenze di Asia, Giuffria ed House of Lords, e dunque, del pomp-rock “keyboards oriented”.
Con Return My Heart siamo, altresì, in un territorio più brioso e rock, grazie a riff e assoli di chitarra comunque non troppo aggressivi, visti i profumi west-coast e la raffinatezza del canto di cui la traccia è costellata.
Poi, Talk To Me, sempre un midtempo ancora una volta contraddistinto da intrecci trasparenti di voci, tastiere e chitarre, sfoggia una capacità compositiva di alto livello che disegna un’armonia tendente al celestiale.
Il titolo di Back To The Summer Of Love ci fa da solo intuire l’intendimento, pienamente soddisfatto, di evocare atmosfere easy ed estive evocando paesaggi pieni di spiagge assolate e mare azzurrissimo, grazie a deliziosi e lineari riff di chitarra ed un mood animato e catchy.
Di diverso tenore, invece, il flavour di 24 Hours, che, a dispetto dell’intro di tastiere, ha uno svolgimento pieno d’enfasi e un ritmo più sostenuto e duro (ma il chorus si rivela sempre accattivante ed evocativo).
On The Radio si pone, invece, come composizione affascinante e suggestiva, ma sempre in un ambito dinamico e solare, mentre Losing è ancora un vivace brano dal sapore west-coast e ricolmo d’avvolgente musicalità.
Con Just Friends gli Houston giocano con più decisione la carta del canto femminile, grazie ad una voce fascinosa che conferisce un elemento di varietà intrecciandosi con quella maschile.
Believe, ancora una volta disseminata di melodie e tastiere evocative, congeda l’ascoltatore lasciandogli un ricordo un filo più hard (si fa per dire) grazie a chitarre grintose poste in conclusione di canzone e di album.
Houston II è un album, a conti fatti, pianamente convincente come l’esordio della band, e, pur con il limite di non presentare novità stilistiche di sorta, si fa apprezzare senza riserve grazie alla raffinatezza degli arrangiamenti e, soprattutto, alle sue irresistibili melodie, le quali si annidano nei neuroni dell’ascoltatore e non li abbandonano tanto facilmente.
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