Recensione: Howe to Survive a Funeral
Fra le particolarità del metalcore ci sono i cori che, quasi come una brezza in sottofondo, echeggiano in ogni angolo della Terra sino a giungere agli antipodi dell’emisfero boreale. In Australia, terra natia dei Make Them Suffer.
Band rodata e navigata da dodici anni di esperienza nel settore, tanto da superare i confini nazionali con il suo nome per essere conosciuta nel resto del Mondo, coniano ora il loro quarto full-length, “Howe to Survive a Funeral”. Un titolo che si può prendere con ironia, oppure seriamente, non sbagliando approccio in entrambi i casi. Due delle caratteristiche più importanti del genere, quando inquadrabile nel melodic metalcore, consistono difatti in un’attitudine musicale tesa a tenere su il morale, dall’andamento veloce e ritmicamente scoppiettante, contemporanea a un’anima spesso profondamente malinconica. Un’antitesi che funge da carta d’identità per una tipologia artistica spesso bistrattata da fan e critici seriosi, giacché ritenuta di facile ascolto e rivolta a un pubblico fondamentalmente di giovane età. Il che, a parere dello scriba, è totalmente errato.
‘Step One’, non a caso, mostra un incipit strumentale dal forte sapore di nostalgia, ammorbidito da un tenue tappeto di tastiere, salvo esplodere in tutto e per tutto nella potenza che segna il metalcore come ulteriore segno particolare. Micidiale, infatti, il tremendo breakdown che strazia subito la canzone, per trasformarsi, nella la successiva ‘Falling Ashes’, in un furibondo, mostruoso attacco al calor bianco spinto dalla follia scardinatrice dei blast-beast. Si mischiano pure harsh vocals e growling, altra… anomalia che, assieme alla dura possanza di un sound gigantesco e alla musicalità di un clamorosi ritornelli totalmente catchy (‘Bones’), tratteggiano in maniera univoca lo stile di una band che, sì, si mantiene strettamente abbracciata ai dettami dei base della foggia musicale che amano ma che, senza paura, mostra i muscoli per dare vita a un’unicità che li possa contraddistinguere con facilità dalla marea di proposte similari.
Già da questi primi momenti emerge con forza un DNA caleidoscopico, pullulante di mille colori e di tante antitetiche peculiarità, come – per esempio – quella derivante da un sound gigantesco, duro, possente, travolgente, macellato da tonnellate di stop’n’go, che si stampa in un wall of sound sul quale sono incisi a mò di fini ceselli chorus orecchiabili, morbidi tessuti fabbricati dalle keyboards, cori dolci e melanconici, dorati riccioli di female vocals (‘Drown with Me’, la hit ‘Erase Me’).
Tante diversificazioni strutturali che solo una formazione in gamba sia dal punto di vista tecnico, sia da quello artistico, possono convergere in un solo punto, che corrisponde al nome della formazione stessa. Bravissimi a non perdere mai di vista la strada maestra, pertanto, i Make Them Suffer. Con tutto il materiale lavorato, uscire dai binari di un sound complesso e articolato sarebbe facile per chiunque non fosse dotato del talento che, invece, riempie cuore e anima dei Nostri. Talento che si esplicita, pure, nella composizione dei pezzi. Tutti diversi pur obbedendo alla timbratura del marchio di fabbrica disegnato con ferma decisione da Sean Harmanis e compagni. Che, ciascuno per quello che compete il proprio ruolo, si dimostrano perfetti nell’incastrarsi gli uni negli altri, in modo tale da partorire qualcosa di roboante che si vada a infilare, come il frammento di un puzzle, alla poliedricità della sezione vocale, a cura di un bravissimo interprete quale è Harmanis stesso.
La foga distruttiva assume a volte livelli da guerra nucleare, come nella violentissima ‘Fake Your Own Death’. Roba da fare impallidire anche un amante del death metal, giusto per fare un esempio. Che funge da ossimoro per l’incredibile, in quanto a bellezza sostanziale, etereo break della title-track, che converge poi in un succulento quanto vellutato e indimenticabile tema armonico.
Ancora una volta, la magia del melodic metalcore rende visibile la terra dei Sogni.
Daniele “dani66” D’Adamo