Recensione: Human Reset
I milanesi Derdian cavalcano l’onda del successo di Limbo, pubblicando, a un solo anno di distanza, il loro quinto studio album, Human Reset, tra le vive attese dei fan.
La band italiana, fondata da Enrico Pistolese e Marco Covelli nel 1998 (e già nel roaster Magna Carta) ha ormai consolidato la propria line-up con Ivan Giannini, alla voce dal 2012. Se «la loro musica» – come leggiamo sul loro sito ufficiale – continua a essere «un insieme di orchestrazioni sinfoniche e riff heavy di chitarra e batteria», dall’anno scorso, tuttavia, i Derdian hanno deciso di abbandonare il filone tematico fantasy (mutuato dai maestri Rhapsody) «per occuparsi dei più ricorrenti temi della socialità umana». Limbo è stato il risultato di tale svolta e ha portato successo e apprezzamento internazionale alla band (basti ricordare il contratto con la Japanese Spiritual Beast).
Con Human Reset i nostri continuano nella loro palingenesi creativa e ricomposizione identitaria, cui allude il titolo e la copertina, a cura di Mauricio Javier González Guzmán. Un uomo è appena uscito da una buia “caverna platonica” e scorge un’astronave che pare quella dei Vision Divine di Destination Set to Nowhere, su uno sfondo apocalittico costellato di macerie.
Così si spiega anche l’intro atmosferico: “Eclipse”, con tanto di countdown, fa salire l’adrenalina in attesa della title-track. Questa attacca con il piglio giusto, lungo un infinito tappeto di doppia cassa e trame di tastiera dal respiro barocco. Tanta energia, incedere grintoso, cori esaltanti e la magnifica voce di Ivan Giannini sugli scudi. La parte strumentale, che inizia a metà brano, mostra i Derdian davvero ispirati. Le sonorità sono vicine a nomi affermati del power, come Axxis, Nocturnal Rites e Freedom Call, ma non manca la personalità, vero punto forte di Human Reset.
Dopo un finale tirato, la seguente “In Everything” presenta un avvio vicino agli Stratovarius, con synth di clavicembalo, e linee vocali orecchiabili. Le backing vocals “tenorili” di Enrico Pistolese (presenti a più riprese nel platter) irrobustiscono il timbro di Giannini, creando un insieme vagamente epico, ma senza i patetismi di un brano come “Lamento Eroico”. Sul finire del terzo minuto ci sono attimi vivaldiani, ma senza ipertecnica, e buoni arrangiamenti di basso. Trovano spazio anche testi in italiano e, in questo caso invece, l’ombra di Staropoli & Co. è più che palese. L’unisono nel finale è orgastico (ascoltare per credere!) e prelude all’ultima riproposizione del ritornello.
Intro con palm-mute e wah-wah per “Mafia”, uno dei brani più rappresentativi del full-length. Giannini sfodera un acuto da pelle d’oca, poi si fa largo un main-theme oscuro. Azzardo un confronto ardito, ma sembra di ascoltare i Seventh Wonder per carica empatica trasmessa. Il refrain è forse troppo calcato, mentre il drumwork è stellare e non risparmia terzine in doppia cassa. Tra momenti progressive, al quinto minuto Marco Garau è, altresì, ispirato con un sintetizzatore dalla giusta sprezzatura, che caratterizza nel bene e nel male il sound dei Derdian.
“These Rails Will Bleed” è un veloce divertissement, con un preludio di pianoforte e poi ritmi su binari power, puliti e incisivi. Barocchismi fugaci per un pezzo ugualmente caduco, che poteva forse avere uno sviluppo migliore. Partenza dilatata per “Absolute Power”, con atmosfere da largo händeliano. All’inizio del secondo minuto brillano alcune sincopi di batteria e, dopo alcune parole in italiano, è la volta di un refrain passabile. Il min. 3:39 vive di uno stacco fatato con qualche abbellimento, poi un assolo di Garau con il suo stile inconfondibile: questo basta per rendere un brano dei Derdian un’ottima composizione, curata nei dettagli.
Attacco happy per “Write Your Epitaph”, un brano power metal che scorre fluido, e resta memorabile per il finale con un grande acuto e annesso ironico “bye bye”. Ancora cadenze barocche, invece, per “Music Is Life”, traccia che nel mezzo include una sezione acustica intrigante, quasi cabarettistica, il cui tema è subito riproposto versione metal, con effetto disarmante.
Titolo provocatorio (ma senza scomodare Victor Fleming) per la successiva “Gods Don’t Give a Damn”, che prende avvio con ritmo cadenzato e stupisce per repentine accelerazioni in doppia cassa, degna del grande Alex Holzwarth. Riusciti i cori cattivi in supporto a Giannini, all’inizio del quarto minuto; dopo un buon assolo di chitarra, la canzone termina con una coda quasi AOR, lungo la quale sembra comparire il fantasma di Bob Catley.
“After the Storm” è la ballad strappalacrime che non può mancare in un album metal. L’impianto armonico ricorda quello del brano capolavoro “Lasting Child” degli Angra; il solo della 6-corde è piuttosto ispirato e sorretto da riuscite linee di basso. In definitiva, uno dei momenti più alti del platter.
Il finale di full-length, all’opposto, è impegnativo, con due tracce dal minutaggio medio-lungo, intervallate da un breve pezzo strumentale.
“Alone”, con ottime ritmiche rocciose all’avvio, fa presente che i Derdian nascono ab ovo come thrash metal band. Il refrain è atipico, disteso e con note tenute, mentre la sezione strumentale, con acuti di sottofondo, è esemplare. Al settimo minuto torna una doppia cassa prepotente e la traccia si conclude in velocità. Un pezzo che avrebbe potuto suggellare mirabilmente l’album in un clima nostalgico e invece è la volta dell’interludio “Delirium”, che può ricordare “Paganini’s Nightmare” dei Secret Sphere (sfrondato, però, di virtuosismi), ma anche i Rhapsody di Power Of The Dragonflame.
Ultima sorpresa dell’album, un cambio brusco di atmosfera: dal delirio gioioso si passa all’intro mesto e in pianissimo di “My Life Back”. Al terzo minuto subentra l’insieme strumentale; al quarto, ancora attimi barocchi in stile Angra, valorizzati dall’ottimo affiatamento dei componenti del gruppo. Dopo un assolo, che potebbe figurare in un disco degli Edenbridge, i sessanta secondi finali regalano la scena al pianoforte di Marco Garau, il quale, in stato di grazia, chiude l’ora abbondante del platter su toni toccanti, che ribaltano idealmente quelli pomposi dell’intro “Eclipse”.
Positività, energia, epicità: queste le immagini sonore che emergono da Human Reset, il miglior album dei Derdian a oggi. La prova di ogni componente del gruppo è lodevole: nella fattispecie, Ivan Giannini canta in modo invidiabile; Salvatore Giordano alla batterista è micidiale; infine, Marco Garau conferisce un tocco d’ilare sprezzatura al sound dei milanesi con trovate semplici, ma ficcanti.
A questo si aggiunge una cura meticolosa dei dettagli, una produzione ottimale e l’avvenuta desatellizzazione dal riferimento totemico rhapsodyano. Nel 2014 i Derdian sono tra le realtà power più quotate insieme ai connazionali Ancient Bards e Kaledon, che invece, da par loro, continuano a occuparsi di soggetti fantasy. Avanti così, ragazzi!
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)
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