Recensione: Humanos
Come già testato da molti act di diverse nazioni, ecco dalla capitale dell’Aragona (Saragozza) una band nuova di zecca che ha come peculiarità quella di proporre un disco d’esordio completamente in lingua madre. Coraggio da vendere e amor patriottico sono elementi che vanno a fondersi con la ‘vecchia’ scuola, quella fatta da Morbid Angel, Deicide and Co.
Quel che ne deriva si chiama ”Humanos”, disco registrato negli Aggressive Studios di Barcellona, che non ha mezzi termini, puntando su energia e buone composizioni, che difficilmente lasceranno tracce nel tempo, ma che a primo ascolto risultano ben calibrate. Piatto forte dei Phobos Preacher è il leader Dany, capace di un growl gutturale che dilaga con fare minaccioso durante tutto il disco.
Il classico “Preludio” di organo a canne e timpani bassi introduce “Agonía”, brano che sprizza riff taglienti, cambi di tempo e soli di chitarra, ingredienti basilari che ritroveremo per tutto il disco. Il groove di basso in controtempo di “La Perdición” scivola su un terreno che mette in luce il growl cavernicolo di Dany, che scende a patti con l’underground per recitare il chorus «Donade… Està… Mi Alma… Mi Vida», per poi lasciar spazio a una guitar-battle senza vincitori né vinti. “Hipocresía” muove su un buon incrocio tra la voce di Dany e il riffing imposto dalle chitarre di Diego e Tatín, che esplora territori thrasheggianti, per poi evolvere in un solo di basso costruito su arpeggi ‘harris-siani’, e poi ancora soli di chitarre su un groove imposto dall’accoppiata Adrián / Herrero, che dettano le regole per un finale a colpi multipli.
“Humanos” è un altro macigno ben congeniato dove il solo di chitarra non convince pienamente, sia come costruzione, sia dal punto di vista ritmico. L’intro di “Lágrimas De Arena” in perfetto stile spanish si snoda aggressiva fino al ritornello invocato a gran voce da Dany «Cobardes, Cobardes, No Queremos Morir. Somos Civiles Inocentes. Lagrimas De Arena, En Un Mondo De Injusticia». “La Ultima Cena” si lancia in una cavalcata tra Autopsy e Master dove Herrero e Adrián tengono il gioco con un buon timing, anche se in alcuni cambi di tempo lasciano qualche dubbio su quella precisione ritmica che è tra le prime regole del death metal. “Abre Tu Mente” è in linea col resto con un riffing portante sul quale Dany s’ispira a un Blenton d’annata. Anche in questo caso prima del solo di chitarra si nota qualche piccola incertezza sul cambio di tempo. Il 12/8 iniziale di “Ahogado En Mi Adición” cambia prospettiva d’ascolto ma subito rientra nei canoni fatti di riffing, growl e un mid-tempo che evolve in una sezione up-tempo dettata dal solo di Tatín costruito su tapping e lick di altri tempi. La conclusiva “Doctrina Odiada” rimette la band sulla giusta direzione, quella che ci aspettiamo segua lungo il suo percorso artistico d’ora in poi.
Il disco è nel complesso fruibile e interessante, con brani strutturalmente ben composti. Quel che manca a mio avviso è una produzione appropriata e qualche accorgimento tecnico a livello strumentale che sono certo saranno messi a posto per un grande salto nel loro prossimo capitolo.
Vittorio “Dark Side” Sabelli
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