Recensione: Hundus
Secondo full-lenght per questi giovani svedesi fautori di un potente stoner rock dalla chiarissima origine settantiana. Anche il nome del gruppo è un tributo ad uno dei grandi padri del doom rock, poichè trae ispirazione da una canzone dall’album Day of Reckoning dei Pentagram. Il leggendario gruppo di Bobby Liebling è sicuramente uno di quelli che maggiormente ha influenzato i Burning Saviours, ma di certo non è il solo: nella loro musica si possono trovare riff di evidente matrice sabbathiana, melodie debitrici ai Led Zeppelin, mentre i Jethro Tull riecheggiano negli inserti folk. Ma sarebbe inutile continuare a citare gruppi specifici, col rischio di far sembrare i Burning Saviours un gruppo-fotocopia: più in generale, si può dire che sia l’hard rock anni ’70 nella sua interezza e nelle sue molteplici sfaccettature ad essere la loro principale influenza.
C’è da dire che i Burning Saviours riescono così bene nel rielaborare il tipico sound settantiano che sembra che abbiano usato una macchina del tempo per viaggiare fino a quel periodo, registrare l’album, e poi tornare nel ventunesimo secolo per regalarci un pezzo di storia in musica, un piccolo riassunto di circa 40 minuti (la durata di Hundus) di quanto di meglio quella scena musicale aveva da offrire. Forse può sembrare anacronistico, di questi tempi, un album così dichiaratamente e sfacciatamente retrò, così volutamente privo di spunti originali, ma non mi sento assolutamente di condannare un’operazione-nostalgia volta al recupero di quelle inossidabili e insostituibili radici che sono alla base del rock moderno; anzi, semmai c’è da lodare ed apprezzare una tale devozione da parte di un gruppo così giovane. Giovane, ma certo non sprovveduto: al contrario, la padronanza musicale quintetto è di assoluto valore, a partire da un’ottima prestazione vocale di Andrei Amartinesei (ora non più nella band, sostituito da Fredrik Andersson), che sfoggia una versatilità ed un’estensione vocale di tutto rispetto, passando per i coinvolgenti assoli di chitarra, o ancora per il drumming preciso e “groovy”; da segnalare anche la presenza del flauto, che con le sue delicate melodie va ad imprezionare il feeling del disco con un sapore vagamente bucolico. Nove canzoni di stoner rock senza fronzoli e “back to the basics” per questo Hundus, un album che poggia i propri punti di forza sulla pura e semplice qualità delle composizioni e sulle sue atmosfere psichedeliche, rockeggianti e squisitamente retrò.
Insomma, un disco e un gruppo destinati ad una tipologia ben precisa – forse addirittura una nicchia – di ascoltatori che ama il panorama hard rock degli anni ’60 e ’70, ma che invece potrebbe deludere chi dalla musica cerca modernità e innovazione; chi appartenga alla prima categoria, però, non si faccia scrupoli a premiare i Burning Saviours, che meritano tutta l’attenzione e il supporto di chi cerca un determinato tipo di sonorità.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – Out Of Sight
2 – Dark Lady
3 – The Servant
4 – Lilly Marion
5 – Ballad Of Time
6 – Heathen Rites
7 – Let´s Dance
8 – The Man I Used To Be
9 – Hundus