Recensione: Hunt The Flame
Non dev’essere una persona a cui piace starsene con le mani in mano Magnus Karlsson, infatti il chitarrista (oltre che cantautore e produttore) svedese pare non concedersi mai un attimo di riposo. Famoso per la sua collaborazione con i Primal Fear iniziata nel 2008, oltre a questo Magnus si trova impegnato in innumerevoli progetti confermandosi uno degli artisti più versatili della scuderia Frontiers e non solo. La sua firma (e chitarra) la troviamo dietro svariate produzioni, come The Ferrymen, Kiske/Somerville, Allen/Lande e il recente spin-off, Allen/Olzon, Starbreaker e Bob Catley. Oltre a tutto ciò, va aggiunto il suo progetto personale, i Magnus Karlsson’s Free Fall, che con il nuovissimo Hunt The Flame giungono al quarto album. Affiancato dal batterista Anders Köllerfors, anche in questo lavoro Magnus si occupa oltre che della chitarra, anche di basso e tastiere. Infine, come di consuetudine dei lavori targati Free Fall, dietro al microfono vediamo alternarsi una serie di cantanti più o meno noti della scena musicale.
La proposta è sempre una miscela di melodic metal e hard rock con puntate sul power e spruzzate sympho qua e là.
Hunt The Flame sembra veramente una festa organizzata da Magnus, il quale un po’ alla volta, si intrattiene con tutti gli ospiti invitati. Il gran galà inizia con l’hard and heavy della title track, un pezzo coinvolgente che funziona alla grande grazie alla buona prova canora di Alexandee Strandell (Art Nation, Crownw). La successiva You Can’t Hurt Me Anymore è invece affidata all’ugola di Jakob Samuel, il cui timbro ben si sposa con le atmosfere malinconiche del brano. Ma come dicevamo poc’anzi, questo disco è una festa, e quindi non c’è posto per la malinconia. Quindi giù i pensieri, sù i bichieri…e le chitarre. La più briosa Thunder Calls vede il singer californiano James Durbin impegnato in un metal melodico con la sua voce protagonista assieme ai virtuosismi di chitarra di Karlsson. Un hard rock con richiami più moderni in Break Of Dawn, cantata da Krystian Fyhr dei Perpetual Etude e Seventh Crystal, del cui ultimo album Wonderland abbiamo parlato non molto tempo fa proprio su queste pagine. L’intro sinfonico di Far From Home induce a pensare ad un pezzo alla Nightwish. Ma invece di una voce da soprano troviamo il vocione del cileno James Robledo, che comunque ben si presta a questo mid tempo. Spazio ovviamente anche per Karlsson, che qui si sbizzarrisce in un assolo malmsteeniano.
Il disco presenta una riuscita combinazione tra metal ed hard rock, come in The Lucid Dreamer affidata alla voce di Tarje Haroy (Pyramaze) e Night Bird interpretata da Michael Eriksen dei progster norvegesi Circus Maximum, band che nel 2007 ebbi la fortuna di vedere live quasi per caso praticamente sotto casa (In tour tra l’altro con i Seventh Wonder del futuro Kamelot Tommy Karevik). Due prestazioni di spessore da parte dei singer appena citati che vanno a dare man forte alle altre presenti su questo lavoro. Un’opera questa, che non deve essere intesa come una competizione tra i vari cantanti coinvolti a chi prende la nota più impossibile o lancia l’acuto più potente. Al contrario tutti gli artisti svolgono il proprio compito con naturalezza e disinvoltura. Grazie anche a Karlsson che, da buon padrone di casa mette tutti i suoi ospiti a loro agio ritagliando brani fatti su misura per la voce di ognuno.
Arriviamo ora a quello che possiamo definire l’ospite più esotico di tutto il lotto. Girish Pradhan degli indiani Girish And The Chronicles. Per lui Magnus ha preparato Holy Ground: un hard rock maturo intriso di pathos evocativi, dove il cantante asiatico si diletta a duellare con la chitarra dell’axe man svedese.
Procedendo andiamo a scoprire un altro ospite che susciterà l’interesse se non altro dei fans degli Iron Maiden: Raphael Mendes dei brasiliani Icon Of Sin. Il vocalist carioca si era fatto notare già qualche anno fà quando, tramite il suo canale youtube, si esibiva in una serie di interpretazioni di popolari brani metal sfoggiando una voce incredibilmente simile e quella del cantante dei Maiden tanto da guadagnarsi l’appellativo di nuovo clone di Bruce Dickinson. Qui ora lo troviamo alle prese con Following The Damned, un pezzo epico e teatrale con cui da conferma delle sue capacità canore.
Demons Of Our Time è invece un brano dalle atmosfere sognanti che viaggiano sulla voce di Jake E (Cyhra, Dreamland). La composizione si presenta come abbastanza rilassata anche se durante l’assolo, forse in riferimento ai demoni citati nel titolo, ci pensa Magnus a fare il diavolo a quattro con la sua chitarra.
Arriviamo in chiusura con l’ultima traccia e l’ultimo ospite. Antti Railio, cantante finlandese che conobbi circa un anno fa parlando di un disco simile a questo (My Father’s Son di Jani Liimatainen). Summoning The Stars, l’ultimo brano di questo album contiene suoni corposi e massicci ai quali fà da contraltare la prestazione di Railio. La voce del vocalist finlandese si presenta di estrazione decisamente più rock che metal riuscendo a conferire una certa personalità al pezzo. Non manca poi l’assolo di chitarra di Magnus Karlsson che per l’occasione si lascia andare anche ad uno stacchetto in flamengo.
Come già i lavori precedenti, Hunt The Flame punta ad essere un’opera ambiziosa, con cui i Free Fall anche questa volta centrano il bersaglio. Il tutto grazie ad una serie di brani ben elaborati con una certa dose di teatralità senza però, mai risultare pacchiani o pesanti da digerire. Al contrario la scelta di lasciare spazio a melodie immediate ed orecchiabili contribuisce al raggiungimento di un risultato di facile assimilazione. Sembra poi funzionare ancora la formula dell’avvicendarsi di più cantanti lungo lo scorrere del disco. Una soluzione che, unita a canzoni valide, conferisce al prodotto una certa varietà di sfumature. Inoltre, la mancanza rispetto ai lavori passati, di nomi di prestigio come Russell Allen, Ralf Scheepers, Noora Louhimo o Tony Martin, non si rivela di certo un problema, tant’è che molto probabilmente Karlsson non era nemmeno intenzionato a cercare il consenso facile puntando per forza su particolari ospiti d’onore.
I suoi Free Fall ormai sono una macchina ben rodata che non necessita per forza di testimonial d’eccezione per poter decollare. A maggior ragione se il risultato finale è comunque di questi livelli.
E magari, in questo caso, può essere l’occasione per puntare i riflettori su qualche nuovo astro nascente della scena musicale mondiale.