Recensione: Hurricanes and Halos
A due anni di distanza dall’acclamato “The Girl with the Raven Mask”, gli svedesi Avatarium tornano a far parlare di sé con un disco tutto nuovo, intitolato “Hurricanes and Halos”. L’album sancisce una sorta di rivoluzione in seno alla band: poco prima dell’inizio dei lavori, il fondatore e mastermind Leif Edling decide di non essere più un membro ufficiale della formazione di Stoccolma. La sua presenza e collaborazione non verranno meno, però. Agendo dietro le quinte, continuerà ad occuparsi del songwriting, diventando una sorta di mentore per i coniugi Jidell, a cui viene lasciato lo scettro del gruppo. Come sostituto del leggendario bassista viene ufficializzato Mats Rydström, a cui si aggiunge il nuovo organista Rickard Nilsson. È con questa line-up che gli Avatarium si presentano nel 2017.
Come dicevamo, Edling rimane legato agli Avatarium, lavorando nell’ombra e continuando a dare il proprio contributo in fase di composizione. Sei degli otto pezzi che vanno a costituire “Hurricanes and Halos” sono infatti stati curati dal father of doom in persona. Con il nuovo lavoro gli Avatarium continuano e approfondiscono il percorso di riscoperta del passato iniziato, in particolare, con l’EP “All I Want”. Attraverso “Hurricanes and Halos” la band sembra voler tracciare una sorta di linea di confine tra quanto fin qui è stato e ciò che sarà. La formazione svedese, che fino ad ora si era imposta come una doom band dalle spiccate influenze settantiane, si trova a invertire l’ordine delle componenti che ne contraddistinguono il sound. Dà maggior spazio alla componente Seventies, condendo il tutto con delle influenze doom che rappresentano il marchio di fabbrica Leif Edling. Un’evoluzione che poteva essere facilmente ipotizzata già dal precedente lavoro, dove elementi Blue Öyster Cult, Rainbow, Huriah Heep e qualche riferimento al prog di quella decade si erano mescolati magicamente al doom made in Edling, creando un interessante ibrido su cui la voce di Jennie-Ann Smith riusciva a stagliarsi alla perfezione. Proprio quest’ultimo fattore deve aver fatto riflettere il quintetto svedese, mettendo in chiaro che, per permettere alla bionda singer di potersi esprimere al massimo delle proprie potenzialità, la componente Seventies doveva acquisire maggiore importanza. Ed ecco che ci ritroviamo tra le mani un platter che evidenzia quanto appena detto. Un lavoro caratterizzato da una Jennie-Ann Smith in stato in grazia, che può muoversi a proprio agio e sicura di sé in ogni singola traccia, trovandosi in un territorio creato appositamente per lei. Basta ascoltare la splendida ‘The Starless Sleep’, uno degli assoluti highlight del disco, per comprendere quanto appena detto.
“Hurricanes and Halos” si presenta con un suono curato e ben bilanciato, in grado di valorizzare ogni strumento, in cui spicca un flavour retrò, quasi a voler mettere l’accento sulla componente settantiana che caratterizza il sound degli Avatarium. L’ormai collaudata collaborazione con David Castillo in cabina di regia continua a dare i suoi frutti. Dal punto di vista compositivo, come scritto in precedenza, le sonorità degli anni Settanta ricoprono un ruolo predominante all’interno della release. Se la già citata ‘The Starless Sleep’ evidenzia le influenze Blue Öyster Cult, ‘The Sky at the Bottom of the Sea’ è un voluto omaggio agli Uriah Heep, sia nella struttura del brano che per le linee vocali, in particolare nelle armonizzazioni dei cori. Non a caso abbiamo citato queste due tracce, in quanto possono rappresentare al meglio la “nuova” via intrapresa dalla band. L’aver deciso di rivolgere il proprio sguardo, in modo più marcato, verso le sonorità Seventies, mettendo leggermente in secondo piano la componente doom, ha però come conseguenza la perdita di quelle atmosfere magiche, di quell’ibrido, vero e proprio punto di forza del songwriting griffato Avatarium, che aveva sancito il successo di un disco come “The Girl with the Raven Mask”. Ci troviamo così al cospetto di un platter che non riesce a coinvolgere a dovere nell’arco della sua durata, vuoi anche per alcuni capitoli poco ispirati come ‘Road to Jerusalem’ e ‘When Breath Turns to Air’, che risultano ampiamente sotto lo standard cui gli Avatarium ci avevano abituato, perdendo quel pizzico di “originalità” che avevamo respirato nel secondo full length del quintetto di Stoccolma. Una sensazione ancora più evidente quando dalle casse dello stereo escono le note di ‘Medusa Child’ e ‘A Kiss (From the End of the World)’, due track in cui sembra rivivere lo spirito di “The Girl with the Raven Mask”.
Come ampiamente approfondito, “Hurricanes and Halos” appare un disco di cambiamento, di transizione e, come da consuetudine in queste occasioni, l’album alterna momenti convincenti ad altri meno ispirati. Sia chiaro, il lavoro non è assolutamente da cestinare, anzi. La sua pecca, se così la vogliamo definire, sta nel fatto che, a tutti gli effetti, è il capitolo più debole della discografia degli Avatarium. In qualche frangente viene meno quella capacità di “dialogare” con l’ascoltare che Jennie-Ann Smith e soci avevano sin qui sfoggiato. E si sa, quando ci si abitua bene, si diventa estremamente pretenziosi, non si accettano passi falsi, indecisioni, dischi di passaggio, si esige sempre il massimo.
Una volta metabolizzato e compreso cosa rappresenti “Hurricanes and Halos” per gli Avatarium, solo allora potremo accostarci all’album con occhi e orecchi ricettivi. Il platter è pur sempre in grado di regalare qualche piacevole soddisfazione. La speranza è che con il prossimo disco, avendo modo di elaborare e sviluppare al meglio quanto iniziato in questo terzo full length, gli Avatarium possano tornare a esprimersi sui “soliti” elevati standard. Il tempo, inesorabilmente, porterà le risposte.
Marco Donè