Recensione: Hyperion
Vi avverto, questa sarà una lunga recensione.
I Manticora sono una band danese che suona un power metal particolarmente aggressivo, ispirandosi principalmente al filone tedesco. Ma sono anche una band ibrida, che non disdegna passaggi tipicamente thrash o progressive nelle proprie canzoni, e non si risolve mai in un’imitazione dei modelli, per quanto se ne possa dire.
Soprattutto, è una band che in cinque titoli complessivi non ha alcun calo di qualità, che si mantiene su standard molto alti e negli ultimi cd sembra aver trovato la via dell’oro in concept di grande potenza evocativa e ricchezza espressiva.
La lunghezza della recensione è un esplicito tributo a una band ancora di nicchia, nella speranza che lavori di così alto livello vengano via via notati da un numero maggiore di persone. Sperando che la seconda parte di The Black Circus confermi le aspettative e li proietti nell’olimpo dei grandi.
Può sembrare curioso che io abbia scelto di dilungarmi su quello che è l’album forse meno riuscito dei danesi (per quanto comunque ampiamente sopra la media del genere). L’ho fatto perché questo è l’album della svolta, sul duplice piano delle idee e dello stile. I Manticora “prima” di Hyperion sono diversi da quelli “dopo” Hyperion. Il passaggio è da uno stile piano e diretto, con strutture vocali e strumentali semplici e votate alla melodia pura, a uno altrettanto diretto ma più vario, con influenze degli alti generi maggiormente integrate nel discorso complessivo, e, soprattutto, con un’idea globale fortemente caratterizzata: ovvero, il concept.
CONCEPT:
Hyperion è il primo concept dei Manticora. Prima c’erano solo canzoni a tema e la “Saga of the Exiles” in quattro canzoni, adeguatamente ripartite in 2+2 sui primi due cd della band. Dopo ci sono 8 deadly sins e The Black Circus, ovvero due lavori coi fiocchi, diversi l’uno dall’altro ma splendidi entrambi. La struttura-concept per la band è fondamentale. Come già si accennava, il nuovo indirizzo Manticora verte completamente sull’idea che sta alla base dei cd, che dà l’unità tematica generale e permette di far rientrare in un’unica tendenza di stile anche idee apparentemente devianti.
Tutto si basa sui testi. Spesso la band mette in musica testi che vengono scritti prima di comporre alcunché, cosa abbastanza inusuale ma che a loro riesce benissimo. La struttura strofica e rimica che ne risulta è talvolta un po’ disordinata, e questo può rendere difficile l’approccio iniziale di un ascoltatore distratto. Ma alla lunga si rivela una carta vincente. E questo soprattutto perché i testi sono davvero costruiti “ad hoc”, secondo la migliore tradizione introspettiva nordica, con soluzioni a tratti veramente geniali: impossibile non chiedersi perché i peccati capitali per i Manticora siano otto… vi assicuro che quando si scopre la risposta, un brivido lungo la schiena scorre spontaneo.
Tornando ad Hyperion, il concept in questione dei tre è il peggiore. Può essere considerato come momento di passaggio, di prova per le idee future: è un resoconto, per la verità abbastanza spezzettato, delle vicende narrate nella tetralogia fantascientifica di Dan Simmons, “I canti di Hyperion”. Inutile fare un riassunto della vicenda: occuperebbe più spazio dell’intera recensione. Da persona che ha amato la fantascienza in infanzia, ma che adesso non la apprezza più di tanto, io non vedo nulla di speciale in questa storia. I temi sono quelli tipici del genere, tra pianeti labirinto, portali dimensionali, viaggi nel tempo, organizzazioni imperialistiche e intelligenze artificiali. Il modo in cui la materia è calata nel metal è comunque interessante, e vale la pena di essere adeguatamente analizzato. Lo vedremo canzone per canzone.
LE FONTI:
Prima di passare all’analisi vera e propria, però, è meglio spezzare un’altra lancia in favore dei Manticora: non sono una copia dei Blind Guardian. È vero che i bardi forniscono loro spunto in modo preferenziale rispetto ad altre band, ma il sound Manticora non si risolve MAI nell’imitazione. La voce di Lars somiglia a quella di Hansi solo apparentemente, essendo similare solo la pronuncia e l’accento. Kursch è più acuto, Lars più profondo. Kursch fonda il suo stile sul cantato sporco, senza mai arrivare al growl. Lars è distante anni luce da questa soluzione: alterna parti in voce pulita a pezzi urlati in stile thrash. La struttura ritmica è complessa quasi quanto quella proposta da Thomen Stauch. Ma il fatto che siano complessi entrambi, non vuol dire per forza che i Manticora copino. Inoltre, gli inserti prog e thrash sono completamente assenti nelle canzoni dei Blind Guardian, veri esponenti del power teutonico più puro. Se da un lato è vero che i Manticora sono abbastanza fedeli a questa idea di fondo, è altrettanto vero che le devianze ci sono, e non sono trascurabili.
Le tastiere hanno un ruolo importantissimo nel lavoro della band, molto più che non nel power tedesco. In questo i Manticora si avvicinano di più alla tradizione scandinava; ma gli Stratovarius non c’entrano un fico secco coi danesi; e i Sonata Arctica condividono con loro solo l’attenzione ai testi e l’uso dei cori.
Infine, per quanto sia impossibile spiegarne le ragioni, dopo 4/5 canzoni ascoltate, il “marchio Manticora” si imprime nell’ascoltatore, ed egli è in grado di riconoscere senza dubbi che una traccia è loro e non di qualcun altro. Inconfutabile segno di maturità e identità stilistica.
LE CANZONI:
Ma veniamo al dunque.
1. A gathering of Pilgrims: è una breve introduzione. Si percepiscono strani suoni di atmosfera, ricetrasmittenti alla “Star Wars”, poi entrano tastiere e chitarre, subito potenti e aggressive. Giro di batteria ed entra il narratore, che ci illustra gli estremi della storia: “Sette pellegrini raccontano la storia della Bestia al capitano. Uno sarà l’eletto, gli altri moriranno.” Brevissimo riff di chitarra, la tensione cresce… si parte!
2. Filaments of Armageddon: chitarre impazzite come mitragliatrici, batteria spaccaossa. Power metal nudo e crudo, con il miglior riff dell’album. La canzone in sé è il top dell’album. “Il prete rivela la sua orribile novella”: è la scelta tra una vita eterna ma menomata da un intrusione mentale di un terribile parassita, o una morte tra atroci sofferenze. “Domine Dirige Nos”: bellissimo inserto thrash su queste tre importantissime parole. Stacco con cambi di tempo prog dopo il ritornello, poi la voce femminile introduce un passaggio lento e sofferto, con canto alternato a sospiri e parti recitate. La canzone si conclude su riff-strofa-ritornello su tempi alti.
3. The Old Barge: è una specie di mid-tempo, molto basato sul testo, che racconta l’inizio del viaggio dei pellegrini. Come spesso accade nei Manticora, la strofa è un po’ ripetitiva e non molto interessante. Decisamente meglio bridge e ritornello. Comunque una canzone abbastanza tradizionale e quasi di sutura, non eccezionale. Il ritornello concede stavolta un po’ troppo alle ascendenze Blind Guardian.
4. Keeper of Time-Eternal Champion: tema mediorientale in apertura che rende la canzone riconoscibile tra mille, siamo di fronte a uno dei pezzi forti di Hyperion. Anche stavolta l’inizio è un po’ tradizionale, la strofa ripetuta tre volte e il ritornello meno melodico del solito possono bloccare l’ascolto dei meno pazienti, e generare un certo senso di ripetitività. Ma, non mi stancherò mai di ripeterlo, i Manticora valgono. E questa è una canzone che cresce ogni volta che la si ascolta. Fermarsi al primo impatto è un grave errore. Infatti la traccia è lunga e complessa. Dopo il secondo ritornello entra un nuovo riff, di grande impatto, e un outro porta ad una vera e propria pausa, che divide il tutto in due momenti separati.
Si riparte con un solo di basso, e la voce narrante introduce l’interessantissima sezione conclusiva: in un momento di passione con la sua bella, la custode del tempo, il soldato chiude gli occhi e…
Immagini di distruzione si susseguono di fronte ai suoi occhi, corpi distrutti, esplosioni al plasma, palle di fuoco, la morte dei mondi. Il ritmo è tutto da assaporare, l’intensità cresce, si passa al thrash, con espressivissimi scream. Chiude il tutto un solo di chitarra, semplice ma fantastico.
5. Cantos: non c’è tregua. Ancora tempi sparati, riff fulminante sullo stile (forse un po’ troppo) dell’opener. Ma la canzone è anche stavolta molto riuscita, il testo è cattivissimo. Un tema di chitarra sui 2 minuti e trenta diventa un vero e proprio “tormentone”, dando il via a una serie di soli particolarmente espressivi di chitarre e tastiera. Un bel pogo qui ci starebbe bene. Poi si rallenta, le tastiere creano un’atmosfera più distesa, ma il riff-tormento impazza ancora. Qualche concessione stravagante al prog, poi si conclude con ripetizione degli elementi melodici base. Tutti protagonisti in questa canzone, voce e strumenti. Ottimo.
6. On A Sea Of Grass – Night: “infinitamente pittoresco”, recita la citazione dai libri di Simmons. Tutto lascerebbe presagire un lento… e invece no! Si continua su tempi alti e martellanti. Ma stavolta è un po’ troppo: si rischia veramente di stancare. L’atmosfera la crea solo la tastiera, ma è poco per salvare la “mezza canzone”. Prima vera bocciatura dell’album. Il riff sotterraneo di chitarra è anche praticamente identico al nostro caro “tormentone” di prima… censurato.
7. Reversed: finalmente una ballad! È il momento dei ricordi, e dei consigli un po’ fuori luogo di fronte a una bottiglia di whiskey. Permettetemi di dire che i lenti dei Manticora non sono la cosa migliore che il metal possa proporre… ma spezzare ogni tanto è necessario, e l’inserto narrativo femminile oltre a qualche cambio stilistico interno nel complesso rendono godibile la canzone. Bello l’intermezzo acustico centrale e l’uso delle chitarre in generale. Ci voleva un momento di pausa, ci voleva proprio!
8. On a Sea of Grass – Day: il giorno è un po’ meglio della notte sul mare d’erba. La canzone è più credibile, anche come durata; il riff, non si sa perché, qualcosa che ricorda un immenso prato ce l’ha. La sezione centrale dell’album, inutile dirlo, è la più debole. I rimandi interni tra i due “prati” e con le precedenti sono allo stesso tempo punto di forza (in quanto coerenza) e di debolezza (in quanto ripetizione). Ci vuole un po’ per assimilare il tutto. Un briciolo di noia al primo impatto è concessa.
9. A long farewell: ci stiamo avvicinando alla fine, e si sente. Il concept si complica, la trama si aggroviglia ed entra nel vivo. Ad essere sinceri, senza aver letto i libri, qui cominciano ad esserci dei dubbi su cosa stia succedendo… Ma si è certi che questo è lo Spannung, il momento di maggior tensione in cui tutti i nodi vengono al pettine. La canzone è tutta costruita sul testo, il ritornello è l’elemento che lega il materiale, altrimenti abbastanza dispersivo. Prima parte sempre tradizionale, seconda parte più varia, con inserti thrash e prog, interessanti soli e cantato femminile (!). In tutto sono 8 minuti e mezzo di canzone, da gustare.
10. At the Keep: inizio alla Nobuo Uematsu in Final Fantasy VII, ovvero altamente evocativo di scenari di desolazione. Per quanto il tempo occupato sia inferiore a Reversed e la posizione sia meno importante, per me è questa la vera ballad dell’album. Il ritornello è molto breve, ma facilmente memorizzabile. L’aumento di intensità finale è molto riuscito.
11. Swarm Attack: la battaglia vera non è descritta dalla voce, ma solo dagli strumenti. In tanta profusione di parole, questa è una vera intuizione. Ci sono forse soli più belli nel resto dell’album, il fatto che questi abbiano titolo a sé stante non conferisce loro maggiore dignità artistica. Ma siamo comunque di fronte a qualcosa di molto apprezzabile. Il livello tecnico dei musicisti è quello dei grandi maestri del power. Bassista compreso: e questa per il genere è quasi una novità, molto gradita.
12. Loveternaloveternal…: amore eterno, anche nel titolo. “Dal vero amore emerge solo il dolore, ma solo allora l’Universo diventa uno”. Questa la morale conclusiva di Hyperion. Ce la racconta una canzone che è la degna conclusione di quanto sentito in precedenza, ritornello e voce femminile in primis, strofa una volta tanto pienamente all’altezza. Qui si vede che il concept non è al livello di 8 deadly sins, soprattutto se si confronta questa conclusione con lo struggimento del tentato suicidio in “Help Me Like No One Can” e il crollo totale certezze nella serie di “What if…” dell’Outro. Ma in generale la musica è ottima, per più della metà dei titoli almeno. Ed è questo quello che conta.
In conclusione, i tempi di assimilazione per Hyperion non sono bassi, questo è certo. Gli altri album sono più facili da digerire, o perché più melodici (i primi), o perché più riusciti (gli ultimi). Ma ne vale comunque la pena. Menzione a parte va alla produzione, che è perfetta in tutti i loro lavori. Sintomo di professionalità e cura dei dettagli.
Non lo consiglio come primo album per avvicinarsi alla band. Per “innamorarsi” è meglio partire dalle ultime due uscite. Ma, ripeto, dal punto di vista evolutivo dei Manticora, questo è il vero fulcro, momento di riflessione stilistica e cambiamento verso la maturità.
Spero che in futuro si possa vedere la band su palchi importanti. Lo dico ancora: sono pochi i gruppi che non commettono passi falsi nelle prime 5 uscite. Che uno di questi gruppi sia quasi dimenticato dall’opinione pubblica di settore è un vero abominio. Purtroppo le leggi del mercato sono tiranne, e non sempre premiano i migliori. Ma i Manticora hanno tutte le carte in regola. Specialmente in un periodo in cui i gruppi power emergenti non sono altro che copie gli uni degli altri, e i maestri troppo spesso virano verso altri lidi. Coraggio ragazzi! Fatevi avanti!
P.S. Dell’album esiste una riedizione del 2005 distribuita dalla Massacre Records, con la bonus track “In Your Face” tratta dall’EP “Dead End Solution”
Tracklist:
1. A gathering of Pilgrims
2. Filaments of Armageddon
3. The Old Barge
4. Keeper of Time – Eternal Champion
5. Cantos
6. On A Sea Of Grass – Night
7. Reversed
8. On A Sea Of Grass – Day
9. A Long Farewell
10. At The Keep
11. Swarm Attack
12. Loveternaloveternal…