Recensione: I Made My Own Hell
Secondo platter per gli spagnoli Vhaldemar, una band che mi è veramente molto simpatica, il motivo della mia simpatia è semplicissimo, questi ragazzi colpiscono duro e in faccia, senza fronzoli e senza compromessi di sorta. Certamente i Vhaldemar non sono innovativi, particolarmente creativi o rivoluzionari, semplicemente sono quattro metallari davvero fedeli e appassionati e la loro musica è la consacrazione della loro fede. Con questo “I made my own hell” i Vhaldemar puntano su un sound più ambizioso rispetto all’esordio “Fight to the end” mantenendo inalterate sia la potenza che la velocità delle loro composizioni e garantendo lungo tutta la durata del platter una energia e una potenza indiscutibili. La matrice musicale dei Vhaldemar affonda nel power veloce e grezzo che non dimentica spessi sconfinamenti in ambito classico richiamando apertamente il metal della scorsa decade. Chitarre pesantissime, una sezione ritmica devastante unite a un cantato sgraziato e volutamente acido sono le caratteristiche peculiari del sound della band spagnola, quindi dimenticatevi melodie altisonanti e gorgheggi angelici perchè i Vhaldemar colpiscono a testa bassa e non vanno per le leggere. In questo nuovo cd il gruppo punta su alcuni dettagli interessanti come assoli di fattura neoclassica che comunque non diventano mai troppo invadenti lasciando inalterata la forza frontale della band. La Arise Records continua a credere in questi ragazzi, sotto le sue insegne sono stati prodotti entrambi gli album dei nostri fin qui. Il disco si apre con la poderosa “I made my own hell” un brano decisamente veloce, vibrante e cattiva, ottima la strofa crescente che esplode in un refrain travolgente nei ritornelli. Si possono aprezzare alcuni passaggi neoclassici negli assoli di chitarra ma nulla di particolarmente innovativo, non credo per questo che i Vhaldemar vadano ricordati tra le band clone di Malmsteen. Potentissima anche la successiva “Braking all the rules” che possiede un approccio maggiormente ritmico e frontale, il brano non si perde in fronzoli e viene presto al sodo, non c’è spazio per digressioni melodiche solo energia e potenza a tonnellate. Con “No return” i nostri chiamano in causa i dettami tedeschi degli Accept di “Predator” inserendoli in una ossatura decisamente power oriented, senza concessioni come al solito. Bella, quadrata e frontale “Steam roller” è una delle canzoni più classiche del disco, qui i Vhaldemar abbandonano il power per addentrarsi in un sound ortodosso e trascinante, una bella prova di fedeltà ai canoni del metal. Il lento “Old king’s visions part II” si lascia ascoltare per poi venire presto frantumato da “Mystery” una nuova prova sonora assolutamente inarrestabile, la sezione ritmica in questo pezzo è protagonista assoluta garantendo una energia devastante. Non lascia respiro nemmeno “House of war” mantenendo serrata e compatta l’ossatura del disco, il brano viaggia veloce, non si tratta di un capolavoro di composizione, ma non si possono criticare i Vhaldemar sotto il profilo della attitudine. Lo stesso vale per la successiva “Moonlight” una canzone decisamente poco raffinata ma molto convincente. I tempi si fanno più cadenzati e quadrati con “Dreamer” ma non aspettatevi particolari concessioni, il brano continua l’opera di distruzione inaugurata dalle precedenti, le orecchie sono ormai esauste. I Vhaldemar continuano sulla loro strada anche con “Death comes tonight” che non si cosata dal trend della band puntando su una compattezza indiscutibile e su un sound frontale e cattivo. La conclusiva “I will raise my fist” suona come l’ennesima dichiarazione di guerra sputata in faccia all’ascoltatore, una conclusione più che dovuta a un disco con queste caratteristiche. A questo punto credo che anche il più affamto cultore di power metal sia sazio e soddisfatto. Lo strumentale “March of dooms” ricorda le ultime produzioni di Malmsteen e sinceramente ha poco da spartire col resto del disco. I Vhaldemar non hanno paura di colpire con potenza e cattiveria, sicuramente non siamo di fronte e un disco epocale ma c’è da dire che al giorno d’oggi pochi sono in grando di suonare metal in modo così cattivo e convincente. Il gruppo non è certo molto raffinato e attento ai dettagli, comunque per certi aspetti questo è anche uno dei tratti migliori del loro sound. Io continuo a credere che questi ragazzi andranno lontano e col tempo raccoglieranno i frutti di un lavoro appassionato e concreto come questo. Da considerare.
1 I made my own hell
2 Breaking all the rules
3 No return
4 Steam roller
5 Old king’s vision part 2
6 Mystery
7 House of war
8 Moonlight
9 Dreamer
10 Death comes tonight
11 I will raise my fist
12 March of dooms