Recensione: I, Monarch

Di Stefano Risso - 7 Luglio 2005 - 0:00
I, Monarch
Band: Hate Eternal
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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82

I, Monarch va ad aggiungersi al nutrito numero di eccellenti
dischi di metal estremo che hanno visto la luce in questo 2005. A gruppi come
Nile, Origin, Cephalic Carnage ecc…gli
Hate Eternal rispondono con
un full-lenght a dir poco devastante, impartendo l’ennesima lezione di violenza.

Giunti al terzo lavoro in studio, sembra definitivamente
chiarito il corso musicale che il leader e fondatore Erik Rutan ha voluto
impartire alla propria band: death metal brutale, che prescinde da evoluzioni
troppo ardite, da strutture eccessivamente intricate o da “orpelli” che
alleggeriscano la pesantezza dei brani. Quello che si potrebbe chiamare
intransigenza, dedizione e coerenza alcuni potrebbero tacciarla come staticità e
mancanza di idee. Del resto chi si accinge a comporre musica di questo tipo è
spesso sottoposto a questa sorta di diatriba. In questo caso io sto dalla parte
di chi giudica l’intransigenza sonora come un pregio, specialmente se questa
viene espressa ai massimi livelli. Infatti le caratteristiche che
contraddistinguono dischi del genere sono espresse in I, Monarch nel miglior
modo possibile: riffing impenetrabile e claustrofobico, velocità d’esecuzione
imbarazzanti, pattern di batteria precisissimi e vocals poderose unite al
consueto sfoggio di tecnica e coesione fra i componenti del gruppo. Tutto questo
però potrebbe non bastare per far apprezzare questo disco perchè in questi tre
quarti d’ora circa di musica non c’è un momento di respiro e i ritmi si
mantengono quasi costantemente a livelli iperveloci. Un disco che pesca a piene
mani dal classico sound americano riproposto in una versione ancor più
estremizzata. Certamente non è un disco per tutti, in quanto di per sè la
proposta non ha nulla di innovativo e potrebbe annoiare più di un ascoltatore,
in quanto volutamente monolitica. Mi permetto però di aggiungere che chi volesse
sperimentazioni o divagazioni strumentali dagli Hate
Eternal
rimarrà costantemente deluso perchè i nostri evidentemente non
hanno intenzione di cambiare direzione stilistica anzi, cogliendo il filo logico
dei titoli dei lavori passati (Conquering The Throne e King Of All
Kings
), questi musicisti sembrano voler ergersi a paladini e dominatori
della scena brutal senza alleggerire di un briciolo la propria musica.

Tutto questo preambolo per dire che I,
Monarch
è un lavoro pazzesco, dove nulla è lasciato al caso. Ogni singolo
elemento sembra studiato al minimo dettaglio, incastonato all’interno della
struttura dei brani in modo da eliminare ogni sbavatura o calo di tensione. Se
nei dischi passati del gruppo la voglia di estremizzare il più possibile il
sound aveva prevalso sul processo di song-writing, in questo terzo album è stato
compiuto un consistente passo in avanti. Le tracce sono ben distinguibili l’una
dall’altra, ognuna dotata di un particolare mood tale da non disperdersi
all’interno del disco. Rutan riesce nel difficile compito di scrivere
riff dalla violenza spropositata donandogli quella giusta dose di variabilità e
senso logico necessari per la buona stesura di un disco. Come non sottolineare
poi la prova del batterista Derek Roddy con una prestazione annichilente.
Il suo drumming è uno dei più veloci mai sentiti, espresso per la maggior parte
del tempo in blast-beat e raffiche di doppia cassa impressionanti; uno stile
diretto e preciso che si è arricchito di qualche variazione in più rispetto al
passato (anche se i ritmi forsennati delle ritmiche non consentono grandi “fuori
programma”). A completare il terzetto vi è il nuovo entrato Randy Piro al
basso, il cui apporto è notevolmente nascosto dalla produzione del disco.

A dimostrazione dello sforzo di indirizzare la brutalità
verso una “forma canzone”, più elaborata rispetto al passato, sono poste in
apertura due dei migliori brani in scaletta: Two Demons e Behold Judas.
Canzoni in cui è davvero in cui è difficile trovare qualcosa di criticabile. La
band si esprime al meglio, districandosi al meglio fra i tempi sostenutissimi e
variazioni spezzacollo. Anche il growl di Rutan è più incisivo e
l’utilizzo di acidissime backing vocals è quantomai indovinato. In un disco che
fa della compattezza una sua principale caratteristica è quasi inutile voler
fare un’analisi traccia per traccia, anche se non mancano le sorprese. Ad
esempio la title-track, sorretta da uno dei riff più lenti ed ossessivi
dell’album, è un macigno opprimente, in To Know Our Enemies troviamo un
inconsueto didjeridoo sul finale di canzone, che unito all’ assolo di Erik,
crea una parentesi evocativa molto ben riuscita. Un tema che viene riproposto
anche nella nona Sons Of Darkness, con un breve inserto di percussioni
tribali. Discorso a parte merita la conclusiva Faceless One, una traccia
strumentale dove per la prima volta i nostri mettono in secondo piano la
velocità d’esecuzione a favore di soluzioni più aperte e dal buon gusto
melodico.

Ci troviamo quindi di fronte ad un buonissimo disco, non di
certo un capolavoro; a tal proposito sembrano leggermente fuori luogo le
dichiarazioni del gruppo stesso apparse sul sito ufficiale che dimostrano
comunque quanto gli Hate Eternal siano pienamente
soddisfatti dell’album. In effetti anche dal punto di vista della produzione,
curata dallo stesso Erik Rutan, si sono raggiunti livelli di eccellenza
per il genere. Il suono è incentrato principalmente sulle chitarre e batteria.
Un suono preciso ed estremamente potente che mantiene quella “sporcizia” che non
può altro che giovare. La batteria ha un suono caldo, ben lontano dall’abuso di
trigger o effetti particolari, con ogni pezzo del set perfettamente
distinguibile. Unica nota negativa è il basso che rimane affogato e quasi sempre
in secondo piano.

In conclusione posso dire che con questo
I, Monarch gli Hate Eternal
possono definitivamente imporsi come uno dei gruppi più importanti della scena e
togliersi di dosso la nomea di essere allievi di altri gruppi più blasonati
senza tener conto del talento effettivo di questa formazione. Spero, che con
disco come questo, un grande chitarrista come Erik Rutan possa essere
ricordato ed apprezzato come leader degli Hate Eternal
piuttosto che per la sua militanza in passato in un gruppo fondamentale come i
Morbid Angel. Un album dalla violenza genuina e dai contenuti tecnici
assoluti che consiglio a tutti coloro che cercano buona musica, senza badare
troppo ad evoluzioni e stravolgimenti di un genere, il brutal, che quando
suonato come si deve non ne ha bisogno. Prendere o lasciare.

Ps: Il gruppo ha recentemente ampliato la formazione con
l’ingresso permanente del secondo chitarrista Eric Hersemann.

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