Recensione: I Paralumi della Ragione
Gli Astrolabio nascono in quel di Verona nel 2009, sulle ceneri degli Elettrosmog, gruppo che si sciolse dopo la pubblicazione dell’album d’esordio Monologando. Il combo veneto si dice debitore del prog. italiano anni Settanta e propone testi, le cui tematiche, a loro dire: «partendo dal disimpegno e dall’intimismo, sono via via giunte all’aperta polemica verso le “piccolezze’ della società post- moderna ipocrita ed illusoria, riflesse nella profonda crisi identitaria dell’individuo contemporaneo.» Con ironia i nostri definiscono, poi, il loro sound “Rock Degressivo Italiano”, nel tentativo di ridare slancio a un genere ormai fisiologicamente involuto su se stesso. Gli Astrolabio puntano su un sound onesto, che vuole distogliere il focus dal perfezionismo acustico-digitale oggi in voga. Nella loro breve carriera affiancano in sede live nomi prestigiosi (La Locanda delle Fate, La Coscienza di Zeno, Osanna) e nel 2014 pubblicano L’Isolamento dei numeri pari, con l’etichetta veronese Andromeda Relix, in collaborazione con Lizard Records. Tre anni dopo è la volta de I Paralumi della Ragione, album che già stupisce nella copertina istrionica e postmoderna (nel booklet c’è un elenco divertito dei personaggi citati, da Nietzsche a Umberto Eco, passando per Kurt Cobain e Beppe Grillo). L’album doveva essere un concept legato al tema della memoria inizialmente, ma nel suo farsi i temi si sono spostati su tematiche d’attualità e satira. Così commenta Michele Antonelli: «Ne è venuto fuori un mondo grottesco, fantozziano, che se da un lato fa indubbiamente sorridere, dall’altro porta l’ascoltatore a riflettere sulle piccolezze della società di cui facciamo parte.»
Il risultato sono 50 minuti di prog. rock (senza contare gli outtake) racchiusi circolarmente da un intro e un outro che nel titolo omaggiano i Beatles e hanno la funzione d’immergere oniricamente l’ascoltatore nel mondo sonoro degli Astrolabio.
L’opener “Nuovo Evo” descrive la piaga della rassegnazione da immobilismo decisionista dei nostri tempi, trattando di “porno-elettorale” e “orgia sindacale”. La voce di Paolo Iemmi è smagata il giusto, le tastiere si ritagliano uno spazio centrale. Nel finale i nostri si divertono, poi, a fare il verso agli Yes. Pezzo più cervellotico e metatestuale, “Una cosa”: ardita la scelta di collocare un simile brano sornione e cadenzato come seconda traccia in scaletta, gli Astrolabio se ne infischiano della prevedibilità. Ancora verve satrica e di denuncia in “Pubblico impiego”. Alla berlina gli sfaccendati da posto fisso “zaloniano”, il bello sta, però, nella narrazione dal punto di vista di un roditore kafkiano, tutta da scoprire. Stupisce il cambio di ritmo e atmosfere a metà brano, gl’inserti di flauto traverso arricchiscono il sound e lo rendono nostalgico e umano.
Emozionante e momento tra i più alati del disco, “Arte(Fatto)” è una riflessione sul senso dell’arte per l’appunto, dell’essere artisti in un secolo, il nostro, che tutto è fuorché artistico (il summenzionato Nietzsche oggi si suiciderebbe per il disgusto del trash dilagante). Niente chitarre elettriche, solo acustiche, pianoforte e la voce mesta di Iemmi. Rinfrancante la strumentale “Otto Oche Ottuse”, con rimandi ai Camel e un coro in 9/8 cantato anche dal figlio di Antonelli! “La casa di Davide” (bene dieci minuti) riporta l’attenzione su fatti drammatici, questa volta il conflitto israelo-palestinese. S’inizia con una citazione di Mahmoud Darwish recitata in arabo, poi il brano prosegue con le giuste asprezze mimetiche a rendere l’insensatezza di un conflitto che pare interminabile. Siamo in chiusura. “Sui muri” è un brano leopardiano basato sulla figura retorica dello straniamento. Un ragno osserva dall’alto la decadenza di una/della vita umana, diventando simbolo dello spietato tempus edax cantato anche dai classici. Si respira un’aria tragica ed epica al contempo, dilatata dai synth e cesellata da unisoni solenni. Iemmi sfodera anche un falsetto meritorio.
Questo è quanto. Sicuramente I paralumi della ragione è frutto di una band intelligente, che s’interroga su cosa vuole trasmettere all’ascoltatore, ma al contempo non scende a compromessi commerciali. L’album ha una discreta longevità d’ascolto, non manca nemmeno il valore aggiunto della ricercatezza filosofica dei testi e una loro originalità. Consiglio il platter a tutti gli amanti di prog. rock italiano, non rimarrete delusi.
Roberto Gelmi (sc. Rhadaanthys)