Recensione: I, the Cosmos
Gli Sheol sono un quintetto formatosi nel 2006 a Montefiascone, in provincia di Viterbo. Dopo un solo anno di lavoro, danno alla luce un primo demo la cui realizzazione, simbolicamente, avvia un periodo di travaglio caratterizzato da vari rimaneggiamenti di formazione. Ritrovata la stabilità, il gruppo si mette al lavoro per produrre questo disco, componendo nuovi pezzi e rimettendo mano ai vecchi, arricchendoli e adattandoli alla nuova struttura della band che, grazie ai nuovi componenti, è in grado di esprimere sonorità prima irraggiungibili. La proposta musicale degli Sheol è chiaramente influenzata da gruppi come Cynic e Opeth: ci troviamo davanti un death metal massiccio e aggressivo con forti venature progressive. Il disco si presenta molto bene, con un’artistica copertina che porta alla mente la scena finale di “2001: Odissea nello spazio”, un’epifania siderale che mette ancora più in risalto la misteriosa dicotomia tra il nome della band e quello dell’album. Se le premesse vi hanno incuriosito, continuate a leggere e scoprite come si comportano questi ragazzi alla prova dei fatti.
Suoni eterei e armoniosi caratterizzano il dittico d’apertura del CD, una delicata e breve cosmogonia introduttiva che scivola tranquillamente, tra sonorità sussurrate e morbidi arpeggi di chitarra. Due strumentali ben realizzati e piacevoli, che sfociano nella prima traccia più aggressiva, Thousand, in cui tutti i musicisti irruvidiscono le armonie e fa la sua decisa entrata il growl. I riff sono graffianti e massicci, la struttura del pezzo alterna momenti lanciatissimi a dissonanze acide, in un riuscito avvicendamento che consente al quintetto di non rendere troppo monotona l’esecuzione. La traccia successiva, Insidious, ha delle sonorità più sperimentali, il ritmo rallenta, pur rimanendo vigoroso ed energico. La voce di Turchetti scandisce bene i momenti più concitati, mentre le chitarre sottolineano con i loro virtuosismi le sezioni della traccia in cui l’ascoltatore è più libero di abbandonarsi alla musica e lasciar vagare la mente. Il curioso inserto di organetto nella parte finale è un bizzarro trampolino verso un’altra cavalcata dirompente, che si libra con slancio nella melodica apertura di Dreams Away. Il pezzo è diviso in due parti, ma la prima non è altro che una breve introduzione strumentale, un piacevole preludio che viene quasi cancellato dalla potenza d’esecuzione della consorella. Dopo l’incipit devastante, i ritmi calano nuovamente e si inserisce, quasi in punta di piedi, un’interpretazione molto più pulita di quanto sentito finora, sia strumentalmente, sia vocalmente.
Bello il crescendo strumentale, un tripudio di riff, bassi pulsanti e batteria indemoniata che, dopo il suo acme, scivola in sordina fino al brano successivo, Prenatal. La prima parte, a metà tra una corrida e un brano da balera, si accosta ciclicamente a episodi più violenti, in un amalgama bizzarra e discordante con quanto sentito fino ad adesso. Sebbene vada premiato il coraggio di osare, è probabilmente il brano meno riuscito dell’intera produzione, un piccolo neo che non grava particolarmente nel complesso. Sky si muove malinconico ed esitante prima che un ruggito rabbioso sbatta l’ascoltatore in un mondo fatto di contrapposizioni, dove si alternano growl e voce pulita e riff caratterizzati da una metodica brutalità fanno da contraltare ad arpeggi armoniosi e delicati. Bel connubio, sebbene la parte più “pesante” tenda ad un’eccessiva monotonia che, forse, avrebbe potuto essere stemperata con una maggiore attenzione al quadro complessivo. Father continua a insistere sul pedale della variabilità, il susseguirsi di scontri ritmici e sonorità discordanti si inspessisce e si consolida, cristallizzando e definendo ulteriormente una scelta stilistica ben precisa. Il disco si chiude com’è cominciato, con l’ovattato commiato di un pezzo strumentale che riecheggia nelle vastità dello spazio, morbido e avvolgente.
E’ tempo di fare un bilancio finale su I, the Cosmos. Soprattutto tenendo conto che si tratta di un’autoproduzione, il disco è sorprendentemente ben fatto: ci troviamo di fronte a un buon prodotto, curato sia dal punto di vista tecnico che da quello compositivo. Il quintetto ha sicuramente dedicato grande attenzione a quello che faceva, sebbene siano ancora percepibili alcune ingenuità di fondo, sicuramente smussabili con l’esperienza. In un disco del genere, dispiace quasi evidenziare i difetti: l’occasionale appiattimento della struttura compositiva, sebbene non gravi particolarmente nel bilancio finale, impoverisce alcune delle canzoni che, altrimenti, avrebbero avuto un impatto decisamente migliore. Stesso discorso per la ripetitività di alcuni riff che si ripropongono con troppa insistenza. Con un po’ di sforzo addizionale, sono sicuro che gli Sheol riusciranno a superare anche questi piccoli scogli; teneteli d’occhio, è lecito aspettarsi grandi cose!
Discutine sul topic relativo
Tracce
01. I, the Cosmos
02. Prelude to Life
03. Thousand
04. Insidious
05. Dreams Away 1
06. Dreams Away 2
07. Prenatal
08. Sky
09. Father
10. Goodbye
Formazione
Giovanni Turchetti – Basso – Voce
Cristiano Ugolini – Chitarra – Voce
Vincenzo Lodolini – Chitarra
Riccardo Fantera – Batteria
Gabriele Maria Achilli – Sintetizzatore, tastiere