Recensione: I: Voice
Fra tutti i generi metal, è forse il death quello che si presta all’innesto di sperimentazioni tali da portarlo in avanti nel tempo, quasi a saggiare il futuro del genere stesso. Il perché è semplice: la grande dose di tecnica esecutiva che il death medesimo esige, soprattutto nelle fattispecie brutal e technical, è un po’ ciò che porta a uno stile naturalmente complesso e difficile, pertanto dotato di una naturale attitudine a evolversi rapidamente. Attitudine che si è potuta rilevare già dai tempi dei Death di Chuck Schuldiner e che, con lo scorrere del tempo, non è mai venuta meno.
Figli di questo ragionamento sono gli statunitensi Warforged, nati nel 2012 ma solo ora giunti all’agognato traguardo del debut-album: “I: Voice”. Come indirizzo essi sono votati al blackened death metal, tuttavia pieno zeppo di elementi eterogenei fra loro, inseriti allo scopo di rendere il full-length elemento di innovazione e evoluzionismo spinto.
Prima ancora di ascoltare, salta subito all’occhio la durata delle singole composizioni, nettamente superiore alla media, necessaria per consentire lo sviluppo di idee tanto fresche quanto numerose. Ecco allora che, già con l’opener-track ‘We’ve Been Here Before’, si ha immediatamente sentore di ciò che proporrà il disco nel suo prosieguo. Scariche di violenza sonora pura, scatenate dai blast-beast di Jason Nitts assieme al growling/screaming Adrian Perez, pure assegnato al pianoforte e ai campionamenti. Intervallate a secchi rallentamenti del ritmo in cui emerge il territorio di azione delle progressioni che conducono, spesso e volentieri, alla messa in opera di digressioni strumentali al pianoforte, appunto, nonché alla strumentazione acustica.
Eccellente la materializzazione del mood che permea il platter. Buio, oscuro, a tratti gelido e drammatico, che rimanda alla visione di un colore, o meglio di un non-colore, che ammanta, avvolge, abbraccia tutto il lavoro come un tetro sudario: il nero (‘Voice’).
C’è da osservare che occorrono parecchi passaggi, per riuscire a entrare in sintonia con la mente pensante del combo di Chicago, poiché la forma-canzone viene rielaborata alla base per una sequenza di accordi, accidenti musicali, accelerazioni, rallentamenti, break e, non ultimi, inserimenti melodici (‘Beneath the Forest Floor’). Quando, però, il tutto sembra tornare a coincidere con la foggia classica delle song tipiche del metallo oltranzista, ecco che giunge sempre, implacabile, l’istinto rivoluzionario che muove le gesta dei Nostri, come la complicata ‘Cellar’, il cui inquadramento mentale – operazione naturale della mente umana – va letteralmente a farsi friggere. Ci si può trovare spaesati, soprattutto durante i primi ascolti ma, procedendo con essi, piano piano ci si abitua al modus compositivo di una formazione che, davvero, mostra come potrebbe essere il death metal del futuro.
Potrebbe, poiché c’è da osservare che il pregio principale “I: Voice”, e cioè la proposizione di qualcosa di nuovo, di mai sentito prima, potrebbe rappresentare il suo maggior punto debole. Una mole enorme di note aggrovigliate fra loro, apparentemente senza un chiaro filo conduttore che segni la strada di uno stile sì innovativo ma tendente a sfilacciarsi, a frammentarsi in troppi pezzi di un puzzle irrisolvibile, può essere percepita, da chi ascolta, come la messa a giorno di una massa di musica priva di un direttore di orchestra. A parere di chi scrive non è questo il caso dei Warforged, anche se questa tendenza di può avvertire in maniera soffusa come in brani avulsi dal contesto generale tipo la suite ‘Old Friend’.
In sostanza, tirando le somme, “I: Voice” non è certamente un’opera adatta a tutti per via della sua caoticità – anche in questo caso, pregio che può essere interpretato come un difetto – , che, al contrario, può essere apprezzata da coloro che non amano il conservatorismo del death metal ortodosso. A ogni modo, su un punto non si può che essere tutti d’accordo: il gran coraggio dei Warforged a varcare i limiti dell’ordinarietà.
Daniele “dani66” D’Adamo