Recensione: Ich glaub’ nicht an den Weihnachtsmann
Sulla città troneggia imperioso l’albero addobbato, fiera reminiscenza d’antiche, pagane memorie. L’aria natalizia invade le case, le strade, gli uffici ed i negozi. Il cuore degli uomini si fa più leggero. La bontà imperversa e i buoni propositi riempiono pacchi colorati dai fiocchi sgargianti.
Solo qualche brontolone se la prende con il mondo e la sua deriva consumistico/paciosa/voglio-bene-a-tutti. Solo. Brontola come una pentola di fagioli lasciata sul fuoco e sfila infastidito per le strade illuminate da luci intermittenti e pupazzi giocosi in preda a perenni ho-ho-ho. Sputa sulla neve un bolo marroncino fatto di nicotina, Stock 84 ed astio, urtando famigliole affannate alla ricerca dell’ultimo – importantissimo – gingillo da mettere al centro di enormi tavole stracolme di zuccheri e grassi insaturi. Va da solo e, tutto sommato, a lui sta bene così.
A migliaia di chilometri di distanza, tra le nevi e le slitte, Babbo Natale sta ultimando gli ultimi preparativi per le consegne dei regali. Tempo di controllare gli ultimi dettagli: la robustezza delle briglie, la sciolina sui pattini della slitta, sciarpa e cappello e via, in cielo, verso l’infinito. Oramai gli anni passati sulla slitta in giro per il mondo non li conta nemmeno più, il rubicondo vecchietto. La rotta è sempre la stessa ed i desideri – verosimilmente – pure. Sono evoluti con l’evolversi della tecnologia, questo è chiaro. Ma laddove prima c’era un trenino di legno o una pista elettrica per le macchinine, ora ci sono gingilli elettronici e bambole che mangiano e cacano da sole (e chiedono pure gli alimenti). È il segno dei tempi, si ripete, è solo il mondo che va avanti. Tant’è che, da un paio d’anni a questa parte, un po’ di noia assale il simpatico pancione, sempre più intento a rivangare vecchie e passate glorie, piuttosto che pensare al lavoro ch’egli e chiamato a svolgere. Fu così che quella notte le renne, forse disorientate da una spaventosa bufera di neve, persero la rotta. E quando una renna che da sempre è stata solo ad esclusivo servizio di Babbo Natale perde la strada, c’è ben poco da fare.
“Che si fottano loro e il loro fottuto natale”, sbraita con la voce roca il vecchio cane solitario. Che poi tanto vecchio non è a dire il vero. Certo, di primavere quel corpo stanco ne ha viste parecchie, ma non sono certo gli anni ad averlo incurvato e infastidito. È solo questione di attitudine. Ha un appuntamento in una delle peggiori bettole di Gelsenkirchen, sua infelice e triste città natale. Deve suonare per un gruppo di ubriaconi della sua stessa risma. Altro non saprebbe fare. I suoi genitori lo avevano sempre dipinto come un perdigiorno senza arte né parte. È opinione comune, e forse anche un po’ sua, che i vecchi genitori non si sbagliavano poi di molto. Suonare e cantare erano le uniche cose che gli riuscissero decentemente e con cui aveva tirato avanti per anni. Se non altro per pagarsi un affitto e non morire d’inedia. Il locale, questa volta, era un umido tugurio nell’estrema periferia della città. Soldi non ne aveva se non per qualche bottiglia di birra, figuriamoci per pagare un autobus. Molto meglio le strade innevate da una coltre grigiastra fatta di ghiaccio e fuliggine, quest’ultima eredità sgradita – oggi – di faticose memorie legate al carbone. Il suo gruppo era da tempo al locale ed aveva già esaurito la birra messa a disposizione della band. Poco male. Thomas (questo il nome che i genitori gli avevano appioppato quasi quarant’anni prima) arriverà e, rendendosi conto che la preziosa schiumosa leccornia era stata prosciugata delle altre bestie, bestemmierà, urlerà e spaccherà qualche bicchiere. Non c’era da preoccuparsi troppo quindi. Rientrava nella normale amministrazione.
Le renne, persa definitivamente la direzione, decisero di scendere verso terra in modo da poter orientarsi meglio. Babbo Natale, seccato e un po’ spaventato per l’eccezionale inconveniente, si ritrovò in un lungo vialone innevato, inglobato da due file di casermoni tutti uguali, sporchi, monumentali rifugi per una classe operaia di poche pretese. Fece pochi metri tra le macchine parcheggiate rendendosi conto che i campanelli delle renne con il loro gioioso tintinnare stridevano con la cruda severità del luogo e decise quindi di proseguire a piedi in cerca di aiuto. ” È Natale” pensò, “sicuramente troverò aiuto e conforto”. Vide una luce, fioca, in lontananza. Una taverna senza finestre dava sulla piazza principale, unico crocevia di diverse strade minori. Buio e gelo lo costringevano a fare in fretta. Con l’animo mite di chi teme anche la propria ombra fece un respiro profondo ed entrò. Lo shock, alquanto generalizzato a dire il vero, fu intenso. Babbo Natale, tutto barba bianca e rotondità fu immerso nella peggior stamberga infestata della peggior marmaglia del paese. Dagli amplificatori in perenne ronzio, per un attimo, la musica smise di riversarsi sugli astanti, il pogo si interruppe, le urla cessano. Furono allora l’uno davanti l’altro. In piedi. Divisi da una masnada sudata. Thomas non si scompose, prese la birra appoggiata vicino alla spia e ne tracannò un generoso sorso che, impossibile da contenere tutto in bocca, scese in rivoli sulla maglietta lercia.
Babbo Natale si guardò in giro; lentamente e con molta circospezione portò la mano verso la pesante fibbia dorata a supporto dell’emisferico ventre. Con un colpo secco la slacciò facendola cadere pesatamente a terra, liberando così il pachidermico ventre. Con un sospiro di sollievo, come liberato da un giogo castrante, il vecchio prese lestamente via di mano da uno sbalordito giovinastro una bottiglia di birra appena stappata e la smezzò con una sorsata.
Thomas, che seguì la scena dal palco, con un ghigno satanico si guardò attorno. Cercò ad uno ad uno gli sguardi dei componenti della band bramoso di sguardi d’intesa. E mentre Babbo sparò un rutto da far spavento, la band attaccò con una “Stille Nacht, heilige Nacht” che accese la miccia alla polveriera facendo scatenare un pogo indiavolato. Il locale si illuminò di una luce strana, intensa, coreografia ideale per una velocissima “Ihr Kinderlein kommet”. Preso il centro della scena Babbo Natale iniziò a dimenarsi per la sala come una leone in gabbia urtando e spingendo qualsiasi cosa capitasse a tiro. “Ich glaub’ nicht an den Weihnachtsmann” e “Alle Jahre wieder” riempirono il locale di cori sguaiati supportati da un Thrash sporco come mai fu suonato nel reno westfalia. Un mix esplosivo di gingle natalizi in salsa piccante, conditi da rigurgiti vocali da birreria che portarono Steinkrug al cielo assieme a qualche malcapitato stage-diver sballottato da una folla in estasi. Quando il gruppo iniziò qualcosa di simile al lounge, lo spavento si impadronì dei cuori dei presenti. Una tellurica doppia cassa spazzò via ogni timore, regalando agli scalmanati pane per i propri denti. Travolgente come fiume (di birra) in piena “Jingle Bells” trascinò con se, in un vortice di kaos primordiale, tutta la bettola. Delirio alcoolico con l’accoppiata “Morgen Kinder wird’s was geben” e “O Tannenbaum”. Tutto il meglio dei canti di natale sparato a duecento all’ora come solo il Metal è capace di fare.
A serata conclusa, solo un vecchio pancione strafatto e sfinito restò immobile in mezzo alla sala. Incapace quasi di parlare, babbo natale si guardò attorno, recuperò un bicchiere mezzo vuoto dal bancone del bar e diede un ultimo sorso. Guardò Thomas oramai sfinito. Si scambiarono un sorriso tagliente senza dirsi una parola. Santa uscì dalla bettola lasciando dietro se un vero Ragnarok. Tornando verso le renne che oramai erano piuttosto spaventate, quello che le bestie videro le gettarono nello sconforto più totale. Santa completamente ubriaco, lercio da fare schifo e con rimasugli viscidi attaccati a quella che fu una candida barba bianca. Una acre olezzo accompagnava il simbolo più dolce del Natale che, colto da un irrefrenabile desiderio, si chinò a raccogliere un mozzicone di sigaretta dal selciato, e lo accese strofinando un fiammifero direttamente sul muro di uno dei grigi palazzi da dove le renne lo videro sparire ore addietro. Lo sguardo di Santa e Rudolph si incrociarono e Babbo Natale, al culmine della sbronza più colossale, intuì un certo biasimo negli occhi della sua capo renna. Seccato, l’unica cosa che riuscì a grugnire fu un caustico “‘cazzo vuoi? è Natale anche per me”.
“I’m dreaming of a white Christmas
Just like the ones I used to know
Where the treetops glisten and children listen
To hear sleigh bells in the snow”
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TRACKLIST:
01. Zuhause bei Onkel Tom
02. Stille Nacht, heilige Nacht
03. Ihr Kinderlein kommet
04. Ich glaub’ nicht an den Weihnachtsmann
05. Alle Jahre wieder
06. O du fröhliche
07. Am Weihnachtsbaume
08. Amerikanisches Weihnachtsmedley
09. Morgen kommt der Weihnachtsmann
10. Jingle Bells
11. Fröhliche Weihnacht
12. Kling, Glöckchen, kling
13. Morgen Kinder wird’s was geben
14. O Tannenbaum
15. Frohes Fest
16. Leise rieselt der Schnee