Recensione: Icy Steel
Viaggiare nel tempo non è mai stato così facile. Basta infatti indossare il più vecchio tra i giubbotti di pelle che si hanno nell’armadio, dei jeans stretti, qualche braccialetto borchiato e inserire nello stereo il lavoro di debutto degli Icy Steel: in men che non si dica ci si ritroverà catapultati negli ormai leggendari anni ottanta a “combattere” con spada e martello in onore del “true metal”! La proposta di questi quattro ragazzi sardi è, infatti, indissolubilmente legata al periodo d’oro dell’heavy metal e in particolare guarda con fierezza all’epic più intransigente: niente fronzoli orchestrali o di tastiera e niente super produzione scintillante (tanto che un ascolto a scatola chiusa quasi potrebbe far pensare ad una ristampa di qualche nome storico) ma solo gli strumenti di base e tanta passione per i “tempi che furono”. Il risultato di tale approccio è un susseguirsi di brani dall’incedere lento e maestoso (a tratti si sconfina nel doom meno esasperato) dove poche sono le accelerazioni e dove le melodie non sono quasi mai dirompenti. Se a questo si aggiunge che la durata media dei brani si attesta sui cinque minuti abbondanti e che gli stessi beneficiano di una buona complessità strutturale (non aspettatevi il classico abbinamento strofa–bridge-ritonello), è facile capire che ci si trova di fronte ad un lavoro non banale e che necessita di qualche ascolto prima di poter essere apprezzato appieno (complice anche il fatto che ormai siamo abituati a produzioni oltremodo ricche di elementi che, volendo, si rivelano un po’ ingannevoli).
La tracklist, è bene dirlo subito, non è omogenea per qualità e sostanzialmente può essere divisa in due parti: una prima metà che serve quasi ad introdurre il sound della band e dove i risultati non sono sempre quelli sperati ed una seconda metà dove il gioco diventa molto interessante. Canzoni come Me, River e Wind of War, pur essendo due tra le più melodiche, alla lunga rimangono poco impresse forse per la troppa rilassatezza delle melodie stesse. Si migliora in efficacia con The Man Without End e Spatial Dinasty, due passaggi più battaglieri e ritmati dove affiorano alcune reminiscenze di metal americano a metà tra l’epic più datato (Cirith Ungol o Manilla Road, tanto per fare dei nomi “prevedibili”) e i primordi dell’heavy thrash meno tirato e veloce. Le cose però cambiano in modo più deciso a partire dalla marciante Valley of the Dragon: da qui in poi l’incedere delle canzoni è sempre più sommessamente trionfale e lo spirito epic/doom traspare con maggior evidenza (Secret Rune e i suoi accenni a Candlemass e Manowar). La sublimazione di quanto detto si ha con la quasi omonima I See Steel (dove finalmente ci sono linee vocali subito efficaci) e, soprattutto, con Corrupted King. La prestazione vocale, fin qui ottima, di Stefano si arricchisce di nuova espressività e cattiveria, le chitarre si fanno più dure e concrete (bella la fase solistica) e i cori danno quella solennità che completa l’insieme. Sugli stessi ottimi livelli, ma con un piglio inaspettatamente più dinamico, la conclusiva Pandemonic Ride: nove minuti di cori imponenti, ritmiche veloci e vigorose, assolo taglienti e break melodici di grande pathos, come l’heavy più classico ed incontaminato impone.
In sostanza l’unico difetto che si può imputare agli Icy Steel, oltre alla migliorabile pronuncia dell’inglese (peccatuccio veniale), riguarda la poca dimestichezza che in alcuni casi hanno con le melodie vincenti e dunque la mancanza di efficacia “istantanea” dei brani, ovvero quello che serve per colpire subito l’ascoltatore. Si potrebbe giustamente obiettare che un disco del genere non è fatto per essere ruffiano, ma del resto ritengo che il primo ascolto sia sempre stato molto importante anche negli anni in cui la musica non era merce da “fast food”. Per il resto siamo di fronte ad una band abbastanza matura e ben conscia delle proprie capacità, a cui manca davvero poco per fare il miglioramento definitivo. Impossibile inoltre non premiare il coraggio che questi quattro impavidi hanno nell’affrontare un genere così poco approfondito (soprattutto in Italia). Promossi.
Simo Narancia
Tracklist:
1. Riding to the Battle (Intro)
2. Me, River
3. The Man Without End
4. Spatial Dinasty
5. Wind of War
6. Valley of the Dragon
7. Secret fo Rune
8. I See Steel
9. Corrupted King
10. Pandemonic Ride (The Last March)
Line up:
Stefano Galeano (voce e chitarra)
Alberto Eretta (chitarra)
Alessandro Oggiano (batteria)
Roberto Ladinetti (basso)