Recensione: If Only Stones Could Speak
The Bollenberg Experience nasce come un progetto di John “Bo-Bo” Bollenberg, al debutto con un microfono in mano, e del chitarrista Bjorn Johansson, finalizzato a rendere omaggio a quel genere al quale Bo-Bo è sempre stato legatissimo, quel progressive rock che tanto lo ha appassionato, fino a portarlo a contatti sempre più frequenti, nel corso degli ultimi tre lustri, con mostri sacri come Yes e Alan Parson. E proprio la sua amicizia con Rick Wakeman ha portato Bo-Bo a realizzare un sogno, ovvero quello di mettere insieme gente del calibro dello stesso Wakeman, Jordan Rudess, Roine Stolt, William Kopecky, Par Lindh e Bryan Josh e Heather Findlay dei Mostly Autumn.
Il risultato di questo esperimento è un viaggio musicale attraverso i miti e le leggende della Brugge medievale che Bo-Bo decide di percorrere con questo ensemble di eccezione. Quello che ne viene fuori non potrebbe che essere un lavoro per palati sopraffini, per gente che non ha paura di spaziare dal classico rock progressivo degli Yes ad un’atmosfera narrativa e quasi teatrale che permea tutti i 58 minuti di questo viaggio. Bo-Bo mira a raccontare nove storie diverse, nove spaccati di passato attraverso cui ricostruire i momenti salienti della storia della città di Brugge. A livello musicale If Only Stones Could Speak è un lavoro mai stancante, variegato, mai ripetitivo, con l’elemento narrativo che risulta fondamentale per potersi immergere a ragion veduta in questo mare di melodia. Questo non è un disco da urlare; è un disco da ascoltare, da gustare nota dopo nota, arpeggio dopo arpeggio. A fronte di rari passaggi più dinamici, infatti, a farla da padrone è comunque una musica molto meditata, molto orecchiabile, e comunque mai banale. Il lirismo di Bo-Bo è splendidamente coadiuvato dalla professionalità di questo ensemble di eccezione di cui si è circondato.
Quella che si respira è un’aria probabilmente molto simile a quella che i menestrelli medievali riuscivano a ricreare nelle corti dei loro Signori. La title track, ad esempio, vi farà perdere il contatto con la realtà; vi troverete all’improvviso a vestire i panni di Corte, con giullari, signorotti locali e damigelle a perdita d’occhio. A tale ambientazione, come detto, ci conduce in buona parte la voce di Bo-Bo, la cui capacità narrativa sorprende di brano in brano. Ma buona parte della professionalità di questo esperimento è certamente nascosto nei musicisti che non hanno bisogno di presentazioni. E’ il caso del già citato Jordan Rudess (a leggere le note interne del booklet, pare sia entrato in studio, abbia “partorito” la sua performance in appena tre ore, abbia salutato tutti e se ne sia andato! Roba da matti…), o l’assolutamente perfetto Roine Stolt (il suo tocco in Holy Blood dimostra tutta la classe che appartiene ai suoi Flower Kings), a voler tacere della presenza pesante, ossessiva, del grande Rick Wakeman, la cui influenza si respira dall’inizio alla fine.
Le atmosfere a volte addirittura bucoliche che pervadono il disco (un orecchio a Ursus Brugghia per credere) si fondono a fraseggi più tipicamente prog, a-là Pendragon/Marillion: Cafè Vlissinghe è un esempio, ma solo un esempio, di come possano coesistere un mellotron e un corno medievale.
Apprezzabile e importante risulta anche la partecipazione dell’Ensemble Magocall Choir, che caratterizza soprattutto Nepomucenus, condendola di un aria greve e quasi ossessiva, per poi lasciare il posto alla melodicissima e trasognante Anna From the Well, in cui trovano posto la voce melodiosa e calda di Heather Finlay e, di nuovo, il mellotron di Par Lindh, farcito dalle atmosfere acustiche create dalla chitarra Bjorn Johansson e dal violino di Bernard Dewulf, che riporta alla mente, una volta di più, lontani echi del passato.
Attraverso la narrazione di vari racconti, più o meno verosimili, e comunque tutti attinenti alla storia di Brugge, si arriva alla conclusiva The Story of Three. E’ la storia di Diederik van Haveskerke il quale si racconta che, svanito il sogno di diventare un guerriero, alla morte della moglie e dell’amante, decise di far erigere un mausoleo nel quale egli avrebbe potuto giacere nel mezzo delle donne della sua vita. Tale mausoleo pare esista tutt’oggi.
In conclusione, come avrete capito, se cercate cavalcate metalliche e bassi tambureggianti, questo non è il disco che fa per voi. Ma se volete immergervi in un’ora di ambientazioni poetiche e sognanti, se cercate atmosfere e storie diverse da ascoltare, allora il vecchio Bo-Bo riuscirà a lasciare una traccia nei vostri cuori.
Il Guardiano Del Faro