Recensione: Ihsahn
L’ottavo lavoro in studio di Ihsahn, se escludiamo i due ep Telemark e Pharos datati 2020, esce a ben sei anni di distanza dal precedente, poco riuscito, Àmr. Tra una calata degli Emperor e l’altra, l’artista norvegese trova finalmente spazio per un nuovo album, e che album! Fin dalle prime note di questo omonimo, Ihsahn appare in forma smagliante e convinto di poter oltrepassare i propri limiti. L’opera infatti è concettualmente un doppio album, con una coppia di narrazioni separate ma allo stesso tempo intrecciate che convogliano attorno alla tradizionale figura dell’eroe, e qui la prima nota dolente: il tutto è venduto a carissimo prezzo e la versione completa esiste solo in un cofanetto in vinile. La scelta di vendere due dischi separati, oltre che a richiedere un esborso doppio ai fan, è quantomeno strana e va contro alla stessa natura dell’opera.
Detto questo, ciò che si sprigiona dalle casse è musica di qualità altissima e in grado di inscrivere nella storia il primo highlight di questo 2024. L’opera è la perfetta fusione tra i due ep pubblicati qualche anno fa e gode dello stesso dualismo. Può passare dal black più feroce e intransigente a, dato che è periodo, momenti romantici perfettamente sanremesi. Le orchestrazioni composte sono splendide e si rivelano ben presto il vero valore aggiunto del lavoro, andando a rendere i brani proposti una vera e propria colonna sonora dall’altissimo potenziale cinematografico. Provare per credere!
Due i batteristi accreditati nell’album, Tobias Ørnes Andersen e Tobias Solbakk; sono presenti anche il figlio di Ihsahn, Angell Solberg Tveitan, alle percussioni e Chris Baum al violino. L’artwork è a cura di Ritxi Ostariz e il mix ad opera di Jens Bogren per la versione metal; nelle mani di Joel Dollié invece quella orchestrale. La produzione quindi, ma appare quasi scontato, è a livelli siderali: si percepisce ogni singola nota ed ogni singolo momento è enfatizzato alla perfezione. Difficile chiedere di più in questo senso, è stato fatto un lavoro mostruoso.
L’opera nasce quindi, e gode di una natura piuttosto complessa e arzigogolata; ci vuole tempo per entrare nel mood e per carpirne i segreti testi alla mano. Le soddisfazioni però arrivano ben presto coma la sensazione di avere per le mani qualcosa che rimarrà nel tempo senza essere dimenticato in pochi mesi, andando completamente in controtendenza rispetto alla cultura moderna usa e getta che grida al capolavoro oggi e dimentica completamente domani. Lo stesso Ihsahn dice, nelle frasi promozionali a nostra disposizione, che: “Sarebbe arrogante pensare che l’album che stai creando possa essere Dark Side Of The Moon, Ok Computer o il Black Album, ma in qualche modo sarebbe arrogante non provarci?!?” Ecco, il tentativo è stato fatto ed è pienamente riuscito; chiaro, non ha la portata epocale degli album citati ma è comunque di un altro pianeta rispetto a ciò che ultimamente si sente in parecchi circuiti metal e non.
Ihsahn è un disco che vive quindi di ossimori; ha il modus operandi che è anche il principale marchio di fabbrica di un certo Devin Townsend, con tutti gli annessi e connessi del caso. Per intenderci: bramate un nuovo disco degli Emperor? Siete completamente fuori strada. Se invece apprezzate l’Ihsahn solista, adorerete anche questo album e proverete un ampio spettro di emozioni; la componente black è presente ma non preponderante e sul palcoscenico calcano le assi le categorie di attori più disparate. Il cantato si destreggia in maniera egregia tra scream e clean e il songwriting non presta mai il fianco nonostante un range di influenze molto ampio, impossibile da sintetizzare. Ihsahn va assaporato nella sua interezza come un’opera unica e presa per quello che è: un sunto di un’intera carriera e un punto di arrivo di dimensioni notevoli e inestimabili.
