Recensione: II
Suonare Doom non è un compito facile per nessuno, dal momento che si rischia di annoiare l’ascoltatore con l’ennesima copia sbiadita dei Black Sabbath rallentata al massimo. In pochi sono riusciti nell’impresa di essere credibili e al tempo stesso di rivisitare un genere che ha dei confini ben precisi, delineati dagli intransigenti fan del Doom. I gruppi che hanno reso questo stile interessante sono solo una manciata: i Trouble, i Candlemass e pochi altri.
I Death The Leveller non li conoscevo e devo ammettere che mi hanno letteralmente stregato con la loro formula di Doom cerebrale, ricco di sfumature non sempre claustrofobiche e con arrangiamenti fuori dal comune, che rendono questi quattro lunghi pezzi imperdibili per gli amanti del genere e non solo. La band di Dublino nasce dalle ceneri dei Mael Mordha, gruppo che univa Doom con la tradizione celtica irlandese e, dopo un primo lavoro di buon livello, danno alle stampe per l’italiana Cruz del Sur Music questo II, un disco che si dipana in quattro lunghissime tracce che trasmettono una luce fioca e crepuscolare all’ascoltatore. Come un falò in un campo desolato in autunno, quando il vento freddo sferza le fiamme facendole diventare gradualmente lapilli di cenere nera, che si disperdono lasciandoci soli con le nostre paure. I punti di riferimento dei Death The Leveller sono le classiche band Doom come i Black Sabbath o Witchfynder General. La voce spiritata e nasale di Denis Dowling è un incrocio tra Ozzy e il cantante dei Mos Generator, ma se si ascolta attentamente il brano d’apertura The Hunt Eternal si può notare come ci sia un sottostrato darkwave anni Ottanta che definisce il loro sound malinconico. Insomma gli intrecci delle chitarre e le lunghe litanie vocali hanno un mood meno opprimente del tipico Doom a cui siamo abituati. Il bending iniziale di chitarra del brano in questione ci riporta indietro ai tempi di Wheels Of Confusion estratto dal masterpiece Black Sabbath, IV. La voce salmodiante di Dowling ci ammalia nella seguente The Golden Bough, dodici minuti di disperazione ed atmosfere eteree tradotte in musica con saliscendi emotivi da brividi dietro la schiena, molto probabilmente l’apice dell’intero disco. La band irlandese ha ottime qualità compositive e non annoia mai durante tutta la durata del disco, cosa non affatto scontata visto il genere trattato, ma la carta vincente del combo di Dublino è proprio quella di scavalcare le barriere invisibili del Doom pur non allontanandosi troppo stilisticamente. La conclusiva The Crossing rappresenta il degno finale di una lenta ma inesorabile caduta verso gli abissi della psiche umana, un disfacimento della mente prima che fisico, condito da melodie pastorali ed elegiache che rimandano ad un glorioso ed epico passato ormai distante.
I Death The Leveller pur non inventando nulla di nuovo, riscrivono le regole del gioco con questo secondo stupendo album, che regala emozioni infinite all’ascoltatore. Se amate il Doom, ma anche se siete degli appassionati senza paraocchi, allora non fatevi assolutamente sfuggire questo diamante grezzo. Tolto lo strato di polvere che lo ricopre potreste rimanere accecati dalla luce nera che emana.
Buy or Die, come si diceva una volta!