Recensione: II
L’odio gaelico (è questo il significato di Fuath) proposto in questa sede da Andy Marshall, maestro ed esecutore del secondo album dei Fuath, uno dei numerosi progetti divenuti realtà – esattamente come per gli ottimi lavori realizzati sotto l’effige dei Saor – riprende il discorso interrotto nel 2016 con l’album d’esordio, opportunamente intitolato “I”. A rigor di logica, il secondo capitolo – “II” – torna a trascinare l’ascoltatore in un cupo e atmosferico tomo di black metal che cavalca sotto le redini di velocità e di malinconica melodia. A dire il vero, tale melodia è principalmente dettata da un riffing di chitarra ispirato e le parti vocali intervengono sapientemente al fine di rendere l’ascolto fluido e coinvolgente, soprattutto tenendo in considerazione una durata sostanziosa degli appena cinque brani che articolano una quarantina di epici minuti.
Sin dal canto d’apertura – con l’eccezionale Prophecies – Marshall si avvale di una partitura ritmica ispirata e che tra il drumming di Carlos Vivas e un basso mai scontato portano un mood oscuro, ma che lascia intravedere una fiamma nel profondo dell’oscurità, il tutto a vantaggio di un album che risulta intrigante sin dalle prime battute e che mantiene alta la soglia dell’attenzione, alternando sapientemente digressioni ritmicamente più lente a ripartenze che alzano il tasso di bpm. “II” appare subito come un lavoro scritto alla fioca luce di un cielo stellato che riporta in vita sonorità che faranno la gioia di chi affonda la propria devozione nel metal estremo degli anni ’90, ma lo fa con coerenza, con una cognizione che oggi – sul finire del 2021 – non sia necessario inventare qualcosa di nuovo a tutti costi, eppure non finire neppure per ripercorrere strade già battute. Il disco prosegue senza la minima incertezza e senza che ci se ne accorga Endless Winter fa capolino preannunciando l’ultima svolta, la tratta conclusiva che con una furiosa corsa alterna blast beat con aperture che lasciano intravedere l’infinito cielo stellato sopra le teste di un macabro corteo senza volto. “II” riesce così a bissare la sorprendente prova del suo predecessore, mettendo da parte l’eredità folk invece custodita dai Saor e che rendono i Fuath il nome ideale per chi sia alla ricerca di un disco atmosferico e che una volta concluso lasci quel bisogno di ripercorrere la strada ancora e ancora.