Recensione: II

Di Matteo Burchianti - 24 Luglio 2023 - 12:35
II
Band: Ray Alder
Etichetta: Insideout Music
Genere: Progressive 
Anno: 2023
Nazione:
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65

Dopo una carriera di indiscusso successo come frontman dei Fates Warning, in un momento storico di totale incertezza circa le sorti della band, Ray Alder torna sulla scena col suo secondo lavoro da solista. Quel monito sul destino che echeggiava come un cavallo di battaglia, si scaglia burrascoso su questo album dal titolo semplice e simbolico. “II” non è altro che una seconda fatica, un secondo tentativo, una nuova prova lungo la strada del frontman americano.

Fatte queste premesse, diamo uno sguardo alle tracce che ne permeano lo scheletro, così da prendere coscienza di quanto l’avvertimento di quel destino sia stato più o meno beffardo col nostro beniamino.

L’opera si apre con “This Hollow Shell”, una traccia che non è né carne né pesce, ma sicuramente una buona carta da giocare come presentazione: gli effetti sonori giocano un ruolo fondamentale per tutto il minutaggio, sorreggendo linee vocali non sempre azzeccate, ma si accostano alla perfezione con i riff e le parti strumentali che fanno bene il loro gioco. “My Oblivion” purtroppo è una seconda mano di poker durante una partita momentaneamente sfortunata: se il riffing e le linee vocali stavolta si accostano meglio che nel brano precedente, al contempo l’impressione che ci accompagna è di una miccia che non accenna a prendere fuoco: bene ma non benissimo. Se finora l’aria si è dimostrata decisamente soporifera, dobbiamo pur sempre ricordarci che il metal sa sempre sorprendere chi ha pazienza di lasciarsi stupire: “Hands Of Time” ingrana una marcia leggermente superiore, con un riffing potente e accattivante, che risveglia l’attenzione e la voglia di proseguire nell’ascolto, seppur la voce di Ray, indiscutibile e senza alcun dubbio di altissimo livello, non si dimostri ancora pronta a spiccare il volo che stiamo aspettando. Ciò che sicuramente risalta all’ascolto è la capacità complessiva di ogni membro della band, che fino a questo momento ha dimostrato di saper restituire all’ascoltatore buonissimi spunti sempre, o quasi, azzeccati. “Waiting For Some Sun” ci proietta verso lande orientali, tra colori e oli profumati, per poi scatenarsi impetuosa come un dragone iracondo, pronto a banchettare con le nostre spoglie: la voce di Ray Alder questa volta si presta perfettamente al compito designato, creando un ritornello che fa viaggiare la mente, intrappolandoci in quella che fin qui risulta la traccia migliore dell’album.

Arrivati a metà del nostro viaggio, l’atmosfera si scalda e quella miccia sembra sull’orlo di accendersi. “Silence The Enemy” pare voglia dirci di zittire ogni nostro dubbio e lo fa attraverso un riff potente e aggressivo, sorretto dal basso che in questo caso si supera, brillando più di ogni altro strumento; nota di merito anche per il ritornello, che sa trascinare e rimanere impresso nella mente. “Keep Wanderingè niente più che un lento, senza lode né infamia, lascio agli ascoltatori il compito di valutare l’effettiva funzionalità di un simile brano a questo punto dell’ascolto. Un intermezzo evitabile e quasi stucchevole, al limite della noia. Tutt’altro discorso va riservato alla successiva “Those Words I Blend”, dove le note melodiose di Ray rendono una prestazione maiuscola, con un ritornello bellissimo che non potrà che rimanervi in testa e trascinarvi a pieno nell’intero minutaggio che questa ha da offrire: sicuramente una delle tracce più travolgenti di questo “II”. Tra alti e bassi ci troviamo alla fine di questo percorso: “Passenger” riprende a piene mani le caratteristiche che hanno permeato l’intero platter: linee vocali molto intense, riff che si intrecciano in un mix di aggressività e melodie con un risultato finale che lascia ben poco di epico e memorabile, ma non del tutto da condannare.

Dopo aver ascoltato queste tracce ed analizzato ciò che la band ci ha donato attraverso la propria tecnica e conoscenza musicale, non possiamo far a meno di prendere atto di quelle che sono state fino ad ora le nostre impressioni: ma se potessero cambiare? Se qualcosa potesse farci maturare un pensiero alternativo? “Changes”, con i suoi 7:45, traccia più lunga dell’intero album, è la summa totale di tutto ciò che abbiamo precedentemente udito, sublimato all’ennesima potenza: voce e strumenti si intersecano in modo magistrale per dare vita a un brano che da solo quasi vale l’intero lavoro, dando anche un senso al titolo stesso che si porta cucito addosso.

Se con la fine dell’era Fates Warning si chiude un capitolo del metal che ha fatto la storia, questo “IImuove i primi passi da un infantile movimento a gattoni verso i primi passi in autonomia, restando però ben lontano da una solidità che dia delle conferme concrete agli appassionati della vecchia guardia: non ci resta dunque che prendere per mano questa nuova creatura e accompagnarla nel suo tragitto verso la gloria.

 

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