Recensione: – II –
Nelle ultime settimane, i Lords Of Black sono finiti sotto i riflettori per un motivo non da poco: il loro cantante, Ronnie Romero, è stato scelto nientemeno che da sua maestà Ritchie Blackmore come voce nella nuova reincarnazione dei suoi Rainbow. Non sappiamo se sia un caso o meno, ma proprio sulla scia di tale notizia la band spagnola pubblica il secondo album in carriera, intitolato semplicemente II. Le aspettative sono alte , così come è alto il rischio di un pesante tonfo: la curiosità di sapere se la scelta di Blackmore (uno da sempre di gusti difficili quanto raffinati in termini di cantanti) risulta azzeccata è parecchia.
Dunque, chiariamo subito la faccenda: Ronnie Romero è un fenomeno. Molti lo paragonano al mai troppo compianto Ronnie James Dio, e i richiami sono numerosi, ma personalmente lo trovo più un perfetto mix tra Ripper Owens e Jorn Lande, con il primo a predominare. I Lords Of Black hanno però dalla loro anche altri punti di forza, ovvero il talentuoso chitarrista Tony Hernando, che si occupa anche del basso, ottimo in sede di riff e assoli, un batterista possente e preciso che risponde al nome di Andy C. (al lavoro anche dietro il piano e i synth), il tutto coronato da un songwriting di livello e da una produzione perfetta, grazie al contributo dell’onnipresente Roland Grapow (Masterplan, ex-Helloween). Il loro è un heavy-power moderno, sulla scia dei migliori Masterplan, e ce lo conferma subito la prima traccia “Merciless”. Andamento cadenzato, dove Romero innalza la sua ugola d’acciaio, molto R.J. Dio nell’interpretazione, sopra un solido muro di chitarre, e Tony Hernando piazza il primo di una serie di begli assoli dal gusto neoclassico.
La successiva “Only One Life Away” riporta alla mente i dischi\duello di Russel Allen e Jorn Lande, dove assaporiamo un refrain di livello, e vocalizzi tipicamente Landeiani (e quindi Dio) prima dell’assolo, anch’esso pregevole. Sembra quindi che ogni dubbio sulla bontà dei Lords Of Black sia fugato dalla loro capacità di scrivere ottime canzoni, dove tutto riesce nel modo giusto. “Everything You’re Not” parte con un intro di pianoforte e Romero che si dimostra interprete capace quando si tratta di esplorare il lato più evocativo della proposta, ed è in questo pezzo che comincia a ricordarmi fortemente Ripper Owens. Quindi va sottolineato come il ragazzo non sia da etichettare solo come emulo di Ronnie James Dio, ma possegga molte altre cartucce dalla sua.
“Cry no More” è uno spettacolo di traccia: riffone heavy con tanto di fischio, Romero ancora sontuoso nella strofa (anche qui, molto più Owens che Dio) e un ritornello epico da alzare in aria il pugno. Non da meno l’assolo al fulmicotone di Hernando, che si propone come guitar hero della next generaion. Highlight dell’album. “Tears Will Be” si apre leggera, di nuovo il pianoforte in prima linea, per poi distendersi su ritmi simili agli ultimi Stratovarius, con un incalzante refrain melodico e un assolo che ti lasciano a bocca aperta.
“Insane” è invece una ballad (sempre in salsa metal) dai toni drammatici, mentre “Live By The Lie – Die By The Truth” mostra passaggi ariosi che, snelliti dell’impianto metal, potrebbero tranquillamente rientrare nei canoni di certo hard rock moderno. Il singolo “Ghost Of You” presenta un arpeggio acustico in apertura, e la traccia mantiene un andamento cadenzato per tutta la sua durata (stratosferico Hernando con le sue armonizzazioni stile Timo Tolkki). Grande atmosfera e altro ritornello vincente, Pezzone.
Chiudono il lungo disco (73 minuti senza essere mai colpiti dalla noia) il più canonico power di “The Art Of Illusions Part III” e l’heavy duro e crudo di “Shadows”.
Dopo questo “II” gli spagnoli Lords of Black dovranno essere considerati non solo per essere la band del nuovo cantante dei Rainbow, ma come un gruppo capace di reggersi sulle proprie gambe, intraprendendo un cammino, si spera lungo, pieno di soddisfazioni grazie alle capacità innegabili di cui dispongono. Ronnie Romero timbra una performance di altissimo livello,candidandosi a diventare uno dei migliori cantanti metal negli anni a venire, rivaleggiando, perché no, proprio con i punti di riferimento sopra indicati: Jorn Lande e soprattutto Tim Ripper Owens. Ronnie James Dio no, chiaramente. Lui resterà sempre inarrivabile.