Recensione: III
Nati nel 2013, gli americani Bask giungono al terzo episodio discografico, intitolato per l’appunto III, con la consapevolezza della strada intrapresa e con la maturità artistica che gli consente di mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore, nonostante per gran parte del disco i tratti rock psichedelico prendano il sopravvento in maniera piuttosto omogenea, facendo in alcuni casi percepire quasi un’assenza di distacco tra un brano e l’altro. In realtà, ciò che il quartetto riesce a mettere insieme è proprio un album di buona musica, fortemente ispirata dal motivo principale che caratterizza i testi stessi, ovvero leggende, folklore locale, un ambito esplorato dall’alternarsi di passaggi che prediligono un piglio più elettrico e quasi dissonante, con break e ripartenze che spesso strizzano l’occhio a sonorità tipicamente stoner.
E’ proprio la produzione che mette in risalto un sound perfettamente in linea con quello che i Bask vogliono offrirci con III, che giunge a due anni di distanza dal precedente Ramble Beyond, dai più considerato come l’highlight compositivo del gruppo. Il disco comincia prendendo una strada ormai collaudata, affinandola con l’espressiva voce di Zeb Camp e con ritmiche che riescono a trascinare attraverso groove in grado di farci apprezzare quel gusto analogico accentuato dai corposi suoni di batteria e da quel continuo intrecciarsi di strutture mai troppo scontate. Che lo chiamiate post-rock, psychedelic rock o più semplicemente alternative rock/metal poco importa, dato che in fin dei conti il sound dei Bask è esattamente quello che chi già conosce la band si aspettava e che puntualmente viene distribuito lungo le 7 tracce dell’album, due delle quali sono collegate tra loro (Noble Daughters I: The Stave e Noble Daughters II: The Bow) e dove anche chi solitamente gravita più lontano da determinate sonorità, può apprezzare la funzionalità compositiva di un pezzo come Stone Eyed o come la conclusiva Maiden Mother Crone, abile nel riepilogare al meglio quanto prodotto.
III è un buon album, non farà gridare al miracolo e quando la discografia della band sarà più nutrita di quanto lo sia in questo momento, non sarà magari ricordato tra i capolavori assoluto del gruppo, ma resta comunque in grado di portare una boccata d’aria fresca, piacevoli melodie e più semplicemente un fuga dalla frenesia metallica che troppo spesso perde di vista l’obiettivo principale che un disco deve avere per restare svariate settimane nella nostra playlist. I Bask ci portano a spasso nel loro amato North Carolina, offrendoci uno spaccato di un mondo meno artefatto rispetto al solito, dove la musica diventa la perfetta colonna sonora per farci compagnia stendendoci con lo sguardo verso il cielo, socchiudendo gli occhi e lasciandoci trascinare da quel feeling southern che impregna ogni singola nota. E se tra un anno o due vi imbatterete ancora in questo III, sono certo che lo ascolterete dall’inizio alla fine, facendovi strappare ancora una volta un sorriso compiaciuto.
Brani chiave: Stone Eyed / Maiden Mother Crone