Recensione: III
Il bassista Pasi Kauppinen ed il tastierista Henrik Klingenberg si tengono molto impegnati: fanno parte, ad esempio, dei Sonata Artica, dei Silent Voices, dei Klingenberg Syndrome e dei … Mental Care Foundation.
Con quest’ultima band (dove Henrik ricopre il ruolo di vocalist con il nome di Lance Lawrence Thruster) suonano Thrash Metal, dal 2003, insieme al chitarrista Antti Hokkala ed al batterista Lauri Bexar.
Partiti proponendo principalmente cover di Slayer e Pantera, i quattro musicisti finlandesi sono passati presto a comporre materiale loro, dando alla luce i due album ‘Alcohol Anthems’ del 2005 e ‘Hair of the Dog’ del 2006.
Poi… prima una pausa discografica di sei anni, interrotta dall’uscita del singolo ‘Six Pack Attack!!!’ nel 2012, e dopo un’altra di ben dieci: siamo nel 2022 e finalmente esce ‘III’, il terzo album (appunto!).
Con questo nuovo prodotto gli artisti sono andati oltre il concetto del suonare veloce ed hanno realizzato un lavoro che si può solo definire OTTIMO HEAVY METAL, scritto tutto maiuscolo, completo, detonante e molto vario.
Ci hanno messo un po’, ma ne è valsa la pena: facendo un paragone, ascoltare ‘III’ è come star dentro ad un furioso temporale notturno: c’è la carica di elettricità e la velocità del bagliore del fulmine, l’angoscia del buio a cui segue la potenza del fragore del tuono, la tristezza della pioggia che scroscia e quel senso d’inquietudine che sale quando tutto sembra finito, ma non è ancora arrivato il sereno.
L’album mette in luce la vasta cultura musicale degli artisti, guarda caso finlandesi, che spaziano da una roboante ‘Zombie’, con le sue chitarre che sembrano uno sciame di vespe, ad una disperata ‘Until The End’ e la sua cupa cadenza, con tanto di pianoforte finale a risaltarne l’angoscia.
In mezzo parecchio altro: c’è il martellamento sonoro di ‘Watch The Water Rise’, l’ipervelocità tagliente di ‘The Vengeance’, ‘Blind’ e ‘Aiming For You’ ed il moderno Rock ‘N’ Roll che viene sguinzagliato con ‘Hate Yourself’.
Soprattutto, viene richiamata la magia dell’Hard Rock degli anni ’70, evidenziata, oltre che dalle ritmiche, anche dall’adattissima voce di Henrik: le sfumature sabbatthiane di ‘Burn it Down’ e quelle zeppeliniane di ‘Escape’ e ‘Shot & Beer’ sono un omaggio a quei tempi incredibili.
Tanta roba che diventa una cosa sola per mezzo dello stile personale del quartetto, che ferma il tempo portando tutto ai nostri giorni, ed al sound particolarmente curato che sprigiona: fosco, corposo, curato nei dettagli ma al tempo stesso immediato ed esplosivo, proprio come tradizione scandinava vuole.
Insomma, un album che deve stare nella collezione di tutti. Non abbiamo nessuna intenzione di aspettare altri dieci anni per poter ascoltare il prossimo.