Recensione: Il Trono Dei Ricordi
La fama, come è ben risaputo, non sempre viene concessa a coloro che se la meritano.
Ma questa triste verità, che eroi e artisti di tutti i tempi hanno dovuto accettare da parte dei loro contemporanei, cela nel futuro il riconoscimento da parte dei loro posteri. Troppo avanti nel tempo erano le convinzioni e le critiche che il poeta William Blake alzava nei confronti della società perbenista inglese che avrebbe caratterizzato tutto l’800. Muore incompreso così nelle sue visioni il pittore scrittore, cantando dal suo “trono” quei poemi che il mondo intero avrebbe per sempre ricordato…
Meno ricordato è invece questo album.
Correva l’anno 1994 quando, dalle ceneri della nostalgia degli anni 70’, spuntava questa interessante uscita italiana dai sapori progressivi già maturati (per quel che riguarda il panorama italiano) da storiche band quali P.F.M., Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme e Acqua Fragile. Ahimè, l’avvento dell’Hard n’ Heavy, la diffusione dell’AOR, ma soprattutto l’esplosione di Punk, New Wave e Disco avevano già da tempo segnato la fine di questo genere musicale che stava trovando proprio in quel decennio un degno erede nella sua versione metallica grazie a Dream Theater e Fates Warning. I tempi non erano quindi più buoni e il sentiero intrapreso precedentemente dalla band con l’EP “MCCCXX: Milletrecentoventi” trovò la sua fine con l’uscita (dal numero, per altro, limitato di copie) del “Trono dei Ricordi”. Oggi nell’oceano discografico, questa preziosa perla -invidia internazionale- è la diretta testimonianza della compattezza e della professionalità di questo quintetto fiorentino che con soli quattro pezzi è riuscito a dar vita ad un intelligente percorso musicale ricco d’ispirazione e di idee che si traducono in melodie eleganti, senza mai cadere in sfuriate scimmiottate o in ingiustificati virtuosismi tecnici. Provvidenziale nel progetto, inizialmente ideato dal tastierista Alessandro Muraglia come opera completamente strumentale, è stato l’incontro con il cantante Alberto Mugnaini, il quale ha genialmente fiutato in quelle quattro traccie una “soundtrack” per i poemi di Blake.Il risultato? Una composizione barocca (prevalentemente tastieristica) che riesce a trascinare melodicamente quel cantato un pò alla Peter Gabriel senza mai coprirlo o sminuirlo.
Il primo capitolo, “The King Of Memories”, prende ispirazione da “Il libro di Urizen”. Al fine di poter discutere su scottanti tematiche senza correre il rischio di esser processato come eretico, Blake ideò nelle sue opere una vera e propria mitologia sui difetti e i pregi dell’anima dove la figura di Urizen rappresenta la Ragione, cieca al Sentimento e soffocante tanto le più basse bestialità quanto le più alte nobiltà umane. Il pezzo si apre con un’introduzione che da sola vale tutto il disco, un crescendo epico che va a esplodere in una marcia trionfale dai richiami medioevali. Parti lente, assoli di synth di stampo settantino e riprese conducono progressivamente -è proprio il caso di dirlo- ad un epico finale. Segue l’unica traccia dalla durata media. “A Memorable Fancy” è un vero e proprio capitolo estratto dalla famosa opera “Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno”: 4 minuti e 14 secondi di melodie caotiche e tetre. Ben più solare è invece l’atmosfera che si respira nella terza traccia dedicata ad un canto chiamato “Il piccolo ragazzo nero”, il cui titolo anticipa già il tema della schiavitù e del razzismo. La storia si svolge nel ricordo di una calda giornata estiva dove una madre schiava, indicando il sorgere del sole, racconta al suo bambino di come Dio sia il sole dell’amore che riscalda il creato. Fine è la poesia che lascia a intendere che la sofferenza data dal lavoro nei campi di cotone e la continua esposizione al sole (che segna il colore della pelle) sia segno della vicinanza al calore dell’amore di Dio. E come può la musica non seguirne le traccie?! Geniale è la citazione del passato della cultura afroamericana sia nel cantato che nelle note blues del sassofono di Erik Landley, ex milite dei Death-SS. Peraltro, si fa avanti sul finale la timida presenza della chitarra di Paolo Lamuraglia, spesso soffocata da una tastiera turbolenta, amalgandosi ottimamente nel platter. A dimostrazione di ciò, ci viene in contro la prestazione di quella che è l’ultima traccia: “Vision Of The Daughters Of Albion”. L’ultima perla della quadrilogia, narrante la tragedia della dolce Oothoon che viene stuprata dalla brutalità di Bromion e -per questo- rinnegata dall’innamorato Theotormon, punta il dito verso l’aspetto patriarcale della società che prevede la donna sottomessa o limitata nelle sue possibilità. Sono i 18 minuti più movimentati, spezzati da un mix di atmosfere dove la chitarra gioca ancora una volta un ruolo fondamentale. Ottimo anche il lavoro del basso e del Bouzooky di Francesco Bocciardi, oltre che di un’eccellente produzione da parte dell’effettista Stefano Cupertino. E come dimenticare l’efficace “drum section” di Fabrizio Morganti, architetto di una struttura tempistica tanto orecchiabile per i comuni listeners quanto elaborata per i palati più fini.
Chissà che un giorno venga ricordato da un pubblico più vasto…
Francesco “Franz87” Romeggini e Lorenzo “DottorFaust87” Gestri
Tracklist:
1. The King Of Memories (19:59)
2. A Memorable Fancy (4:14)
3. On The Rising Sun (13:34)
4. Visions Of The Daughters Of Albion (18:03)
Lineup:
Alessandro Lamuraglia — Tastiere
Erik Landley — Bass & sax
Stefano Cupertino — Effetti Elettronici
Paolo Lamuraglia — Chitarre
Alberto Mugnaini — Voce
Fabrizio Morganti — Batteria
Francesco Bocciardi — Bouzooky on “The King of Memories”