Recensione: Illuminati

Di Daniele D'Adamo - 7 Febbraio 2020 - 0:01
Illuminati
Etichetta: Metal Blade Records
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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78

Gli Illuminati sono stati una società segreta nata in Baviera nel XVIII secolo. Sebbene sia in dubbio l’attuale esistenza di tale società, essa è spesso menzionata nell’ambito delle teorie del complotto per indicare presunti gruppi di potere e di pressione che eserciterebbero segretamente o, secondo altre versioni, aspirerebbero al dominio del mondo mediante l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale (Wikipedia, “Illuminati”, 2020).

Illuminati, un argomento già trattato nell’ambito del metal ma che, essendo di vaste proporzioni, si presta sempre a diverse interpretazioni, a nuove rivelazioni.

Il che è ciò che mettono in pratica i God Dethroned nel loro nuovo disco, “Illuminati”, appunto, undicesimo pargolo di una carriera esemplare, malgrado numerosi cambi di formazione e un’interruzione a mò di periodo sabbatico.

Esemplare grazie a Henri Sattler, chitarrista e cantante dotato di enorme talento, sia come esecutore, sia come coagulante dei vari membri della squadra, sia come superbo songwriter. Il che spiega, appunto, la straordinarietà di una band che non è mai venuta meno a se stessa, nel senso che ha costantemente mantenuto intatto il suo approccio al death metal; questo inteso nell’accezione più vera del termine. In un’epoca in cui sono nati come funghi i più disparati sottogeneri (melodic, brutal, technical, symphonic, ecc.), il combo olandese rappresenta un punto di riferimento inamovibile per ciò che riguarda la perfetta manifestazione del death metal che si sviluppa terzo millennio.

Il che non è poco, poiché restare fedeli alla propria filosofia artistica e, contemporaneamente, aggiornarsi ai tempi che corrono senza intaccare il proprio marchio di fabbrica è un’operazione complessa, retaggio dei migliori musicisti. Guarda caso, come Henri Sattler.

“Illuminati” è significativo, comunque – come del resto dovrebbe essere – di una lucidatura della forma astratta che identifica univocamente l’act della Drenthe. Che si traduce, in pratica, in un leggero aumento della componente melodica di un sound sempre e comunque devastante. Alcune soluzioni, come il supporto delle tastiere – beninteso in sottofondo, quasi impercettibili – , oppure i cori a sostegno dei refrain, rendono l’album davvero godibile, nonostante la sua indole brutale, votata alla completa distruzione delle membrane timpaniche.

Sattler e i suoi due fedeli compagni d’armi, Jeroen Pomper (basso) e Michiel van der Plicht (batteria), non si risparmiano certo nell’elaborazione del granitico muro di suono che, movimentato avanti e indietro su una retta immaginaria dalla spinta energetica erogata dalla sezione ritmica, rasi al suolo qualsiasi cosa trovi sul suo cammino.

Certo, ci sono episodi più ragionati e maggiormente armonici, come per esempio ‘Gabriel’, in cui Sattler mostra come si debbano affrontare correttamente le linee vocali del death metal, almeno a parere di chi scrive. Niente esagerazioni, cioè, quanto un tono stentoreo, potente, eseguito a pieni polmoni, perfettamente intellegibile nella lettura dei testi, senza che ci s’infili in stili vocali quali growling, inhale, ecc.

Ma è nelle fast-song che i Nostri danno il meglio di sé. Esemplificativa di ciò è la violentissima ‘Spirit of Beelzebub’, vera goduria per chi ama il massacro sonoro. BPM che volano, travolgendo il confine che separa la norma dall’allucinazione dei blast-beats; main-riff terremotante, che schianta, cozza, sbatte con la massima intensità possibile tutto ciò che emerge dalla superficie terreste e, ultimo ma non ultimo, un sorprendente ritornello che rende la canzone completa in tutto, cambi tempo compresi.

A essere di gran livello artistico non sono soltanto le due tracce più su citate bensì tutte. “Illuminati” è difatti un contenitore di brani ideati per agganciarsi alla memoria, ciascuno di essi dotato di un’autonoma personale, sebbene obbediente allo stile dei God Dethroned. A volte la classe consente di fabbricare un prodotto quasi perfetto in tutti i suoi aspetti senza tuttavia inventare niente di nuovo. Il che, per l’appunto, è quello che riesce al terzetto orange. Con estrema scioltezza e naturalezza, senza forzature, senza cali di concentrazione, combinando in maniera esemplare i dettami stilistici a disposizione senza incartarsi nell’inventarne di nuovi.

Ancora una volta, bravissimi!

Daniele “dani66” D’Adamo

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