Recensione: Illusions in Infinite Void
Attivi da meno di un lustro, i Greci Sacral Rage giungono al debutto su full length tramite l’italianissima Cruz del Sur Music dopo qualche demo e un Ep risalente al 2013. Quattro i ceffi celati dietro la copertina fantasy del nuovo Illusions in Infinite Void realizzata da Mattias Frisk: Spyros S. al basso, Vaggelis F. alla batteria, Marios P. alla chitarra e Dimitris K. dietro al microfono. Nove sono i pezzi proposti per cinquanta minuti circa di durata. Il prodotto si abbina a un libretto di dodici pagine con tutti i testi e un paio di disegni a tema sulla falsariga di quello riportato sulla cover.
L’immagine della band è ultradefender come se si fosse ancora nei pieni anni Ottanta: nessun richiamo alle mise moderne su base nera accompagnate da volti perfettini-perfettini ma largo spazio a bracciali e cinture borchiate, magliette di band HM con i controcolleoni e chiodi rigorosamente d’ordinanza.
Totalmente in linea con il Loro look anche il prodotto, foriero di sfuriate demodé legate all’heavy speed venato di thrash che fece le fortune di band inossidabili risalenti a quel periodo. Molti infatti i punti di contatto con killer quali Agent Steel, Annihilator ed Helstar, tanto per citarne solamente tre.
Subito dopo l’intro gotica Harbinger si scatena l’attacco Speed Metal ellenico sulle note di Encina Del Mal a suon di schitarrate strabordanti con intrecci che riportano alla cattiveria chirurgica dei Megadeth di So Far, So Good… So What! L’anima più HM dei Sacral Rage si impossessa delle trame della terza traccia Lost Chapter E.: Sutratma, nella quale il singer Dimitris K. si conferma portatore sano di ugola trapanante sulla scia di campioni quali James Rivera e John Cyriis.
Panic in Urals (Burning Skies) si apre in maniera straclassica e continua sino alla fine nel segno della tradizione Thrash’N’Speed più pura, così come la successiva, veloce, Waltz in Madness, un vero e proprio manifesto delle sonorità Eighties, quelle tanto care anche ai Nostri Game Over.
Scorre la pleonastica Into Mental East, ancora asce assatanate di tecnica e precisione reggono i cinque minuti e rotti di Inner Sanctum Asylum, fra cambi di tempo e urla al cielo da parte del cantante, a significare la cifra stilistica del combo di stanza ad Atene, tracimante anche nella successiva A Tyrannous Revolt. Chiudono baracca e burattini i quasi quindici minuti di Lost Chapter E.: Amarna’s Reign, con i primi sei racchiusi in un troncone e il resto di quattro minuti, dopo un po’ di silenzio, a mo’ di ghost track, contraddistinti da atmosfere liquide applicabili alla colonna sonora di un film thriller innervati da chitarrone nere a la Black Sabbath.
Debutto senza dubbio interessante, la tecnica degli ateniesi è lì da sentire, ma per spiccare davvero il volo c’è da lavorare un po’ di più sull’anima dei vari pezzi e sull’interpretazione, troppo spesso fredda.
Sarebbe auspicabile maggior pancia e cuore, quindi, per la prossima, visto che l’attitudine è quella giusta.
Stefano “Steven Rich” Ricetti