Recensione: I’m a Rebel

Di Abbadon - 11 Marzo 2006 - 0:00
I’m a Rebel
Band: Accept
Etichetta:
Genere:
Anno: 1980
Nazione:
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75

Dopo l’attualmente quasi dimenticato (ma comunque discreto) “Accept”, nel 1980 il combo teutonico ci riprova con la sua seconda opera, “I’m a Rebel”. Il disco, che tutt’oggi fa anch’esso parte dei lavori dimenticati (a torto) da molti, è invece secondo me fondamentale per i cultori dell’evoluzione stilistica delle band : non tanto per i contenuti in sé (parliamo, tanto per chiarire, di un buon prodotto con ottimi pezzi alternati ad altri più “tenui”, se possiamo usare tale termine per gli Accept) quanto perché “I’m a Rebel” è il platter che più evidenzia l’evoluzione musicale del quintetto teutonico, che velocemente si stava discostando dagli stilemi (ancora tuttavia presenti in maniera corposa) dell’esordio per arrivare al sound smodatamente carico di potenza, ruvidezza ed appeal che caratterizzerà i dischi successivi. Altra novità del ribelle rispetto al “papà” sta in un cambio di line-up molto importante, che coinvolge il batterista. Infatti a Frank Friedrich, che abbandona la band non convinto delle sue potenzialità effettive, succede Stefan Kauffmann, che si imporrà in brevissimo tempo come perfetto batterista, diventando a tutti gli effetti l’elemento storico dei tedeschi dietro le pelli. L’album, come detto non miracoloso, fa un discreto successo in patria, con le prime comparse nelle charts nazionali e nelle tv.

Dopo la parentesi storica analizziamo prodotto : Detto che è la via di passaggio ideale fra l’esordio e Breaker, “I’m a Rebel” è caratterizzato dalla sempre crescente intesa fra i membri della band (secondo me una delle più coese e affiatate in assoluto, quando in pace); in particolar modo si evince il sempre maggior affiatamento fra gli axemen Fisher e Hoffmann, che intrecciano i risultati dei loro strumenti ottenendo pregevolissimi riffs e buoni arrangiamenti lungo tutto il tragitto del disco. Baltes continua a dare il suo sia al basso che dietro al microfono, Kauffmann si impone subito come leader ritmico e Udo è sempre Udo, quindi chi conosce gli Accept sa già come si sommano gli elementi citati (una produzione decisamente migliore, anche se non certo perfetta, rispetto ad Accept, fa il resto). La durata del platter è breve, solo 33 e rotti minuti, che però fanno sicuramente buona compagnia, dividendosi in 8 canzoni piuttosto omogenee dal punto di vista della durata (non dello stile).

L’opener, la titletrack, rimane uno dei migliori lavori del lotto, oltre che uno dei pezzi più amati e conosciuti dei tedeschi. Irriverente, scanzonata (se riuscite a vedere il video ne vale la pena, sembrano figli dei fiori), divertente ma ruvida, “I’m a rebel” merita davvero di essere sentita (come magari pure la cover dei Sodom) e coccolata. Più lenta e forse incisiva (e con un occhio decisamente strizzato al passato del rock made in Germany) è la seconda “Save Us”, che mostra un buon riff, un cantato cattivo, un buon refrain e delle pregevoli voci di fondo. Da segnalare inoltre gli arrangiamenti in secondo piano prima dell’assolo. Giro di chitarra più sferzante e forse meno cervellotico quello della terza “Do It” che ha come scopo semplicemente quello di far saltare l’ascoltatore, peraltro riuscendoci in pieno. Ovviamente non si grida al miracolo, forse stiamo pure parlando di un riempitivo del disco, eppure averne di riempitivi così, incisivi e affilati nella loro apparente pacatezza e nel loro controllo. Il giro di boa è affidato a quello che molti definiscono il primo vero esempio di Heavy targato Accept : “Thunder and Lightning”. Possente, rapida, un vero schiaffo, Thunder risponde benissimo al titolo nome Heavy Metal. Forse al giorno d’oggi scontata l’inizio (col tuono e il fade in della song, comunque una novità rispetto alle precedenti tracks), eppure non per questo meno bella. Gran refrain, poco intreccio fra i vari strumenti e carica da vendere, ecco gli ingredienti principali, con un buonissimo assolo come condimento finale. L’onda “frizzante” viene mantenuta tale con la rapida e carinissima “China Lady”, che mostra uno dei migliori riff del disco (che arrangia perfettamente il cantato) e una notevole freschezza anche relativamente alla sua età. Giro estremamente inglese (e molto Judas Priest vah, specie in fase introduttiva) quello di “I wanna be no Hero”, discreto pezzo che però è probabilmente quello che meno lascia il segno in tutto l’album (una delle pochissime che in genere “skippo”). Gli ultimi due slot sono dedicati a due ballate, che mettono in evidenza la discreta ugola di Peter Baltes, dietro il microfono al posto del futuro colonnello. Personalmente vado matto per la prima “The King”, dotata di buon arpeggio, buone melodie e, secondo me, di un appeal mostruoso, che ne fanno, nella mia classifica personale, il miglior lento di casa Accept. Molto più “power ballad” (anche se è presto per parlare di power) la conclusiva “No Time to Loose”, forse altrettanto bella di The King, forse più impostata, ma con un po’ meno calore (che comunque c’è).

Due lenti dunque per chiudere l’album del cambio di virata, album come detto buono, non certo indimenticabile ma che riesce comunque a regalare gioie agli appassionati del combo (e che può dare un buon numero di ore di compagnia ai non aficionados). Certo, da “Breaker” in avanti cambierà tutto.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) I’m a Rebel
2) Save Us
3) Do It
4) Thunder and Lightning
5) China Lady
6) I wanna be no Hero
7) The King
8) No time to Loose

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