Recensione: Imaginaerum

Di Luca Dei Rossi - 8 Dicembre 2011 - 0:00
Imaginaerum
Band: Nightwish
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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90

Quando guardo un film mi piace stare da solo nella mia stanza, immerso nell’oscurità. Mi piace tenere il volume alto, per sentire bene dialoghi, musiche, rumori. Mi piace sgranocchiare dei pop-corn, scadendo nella totale banalità di una delle convenzioni importate in Italia dagli americani. Mi piace guardarlo senza interruzioni, soprattutto se è un film difficile da comprendere. Così ho fatto: ho preso il disco marchiato Nightwish, l’ho inserito nel lettore dopo aver creato l’atmosfera giusta e aver insaporito l’aria con l’odore di pop-corn appena fatti, mi sono steso sul letto e ho premuto play.

Capitolo I – Taikatalvi
La scena iniziale mi ha trasmesso tranquillità: quello che vedo è la cameretta di un bambino, vedo una culla, sulla quale è montato uno di quei carillon con attaccati vari animaletti che oscillano e ondeggiano. Si sente una ninna-nanna, cadenzata. Il bambino si addormenta e il nonno, davanti alla finestra, guarda il panorama innevato. Ed ecco che la fantasia e le memorie prendono il sopravvento. Siamo nella mente dell’uomo barbuto, corroso dagli anni nel corpo ma non nell’intelletto, che è ancora vivo e brillante. Così strumenti celtici e violini entrano in gioco e, quella che era una ninna nanna, ora diventa una ballata carica di nostalgia. Rifiorisce quel ricordo, sempre di più, in un climax emozionante, che esplode…

Capitolo II – Storytime
Il ritmo del film si fa incalzante e così la colonna sonora: le scene che una dopo l’altra vengono mostrate sono ricordi del periodo fanciullesco, dei giochi all’aperto con gli amici, l’età dell’immaginazione, della curiosità. E in effetti Storytime, il secondo capitolo della nostra storia, vede un refrain allegro e vivace, bridge accattivanti, l’onnipotente orchestra in crescendo e diminuendo continui e un coro di voci bianche che accompagna le varie scene tenendole per mano.

Capitolo III – Ghost River
Ma inevitabilmente come la vita è andata avanti, anche i ricordi seguono il corso degli eventi che il tempo ci ha imposto. E così risale alla mente il periodo dell’adolescenza: le cotte per le compagne di classe, le delusioni amorose, le prime paure, il bisogno di essere accettati. La chitarra distorta in un riff che non mostra il minimo dubbio, accompagna delle linee vocali piuttosto atipiche e vede all’opera un Marco che alla voce riesce, complice l’impianto orchestrale, a trasmettere angoscia, paura, incertezza.

Capitolo IV – Slow, Love, Slow
Ancora una volta si cambia atmosfera. È il momento della sensualità, delle passioni, della lussuria. Il basso canta insieme al pianoforte e alla voce calda e morbida di una sorprendente Anette, che sfoggia un’interpretazione fenomenale. L’atmosfera jazz rimanda le immagini in un Saloon, tra fumi di sigarette e alcol. Si parte. Il pianoforte si fa più cattivo, entrano in scena la chitarra, gli ottoni, siamo al culmine del piacere. Tutto si quieta, con una tromba che in lontananza pronuncia le ultime note e un ticchettio che sembra non voler finire ci introduce nel prossimo ricordo.

Capitolo V – I Want My Tears Back
Siamo in età adulta, lo si capisce perfettamente (“Where are the sleepless nights I used to live for?”), si rivogliono le lacrime sprecate, forse per persone per le quali non avremmo dovuto piangere. Ci si chiede dove sono finite le domande che non ci facevano dormire da bambini, dov’è il timore reverenziale (verso un qualche Dio?). Domande che rimangono sospese nell’aria come la cornamusa che prepotente si fa sentire e adorare che duetta con la chitarra e si esibisce in un piccolo solo. Domande che rimangono impresse nella mente come il ritornello che non si fa dimenticare.

Capitolo VI – Scaretale
Così, inarrestabili, riaffiorano paure, sgomenti, in una sola volta. L’interpretazione di Anette è professionale, la voce è ora cattiva, graffiante, morbida, tagliente, in un susseguo di immagini slegate tra loro. Tutti gli attori recitano in maniera impeccabile, svolgono il loro ruolo perfettamente coordinati dal grande regista di casa Nightwish. E come è sempre stato, gli horror più spaventosi sono quelli che hanno a che fare con il circo, con i clown. Le atmosfere circensi entrano a gran voce a far parte della terribile “storia di paura”. Forse ora i pensieri risultano un po’ scollegati, probabilmente è colpa dell’età. Una mente non rimane lucida se messa alla prova.

Capitolo VII – Arabesque
I pensieri bui lasciano spazio ai ricordi di viaggi lontani. Tamburi e strumenti orientaleggianti si muovono con disinvoltura, le immagini sono chiare: sabbia, polvere, sole cocente, mercati rionali.

Capitolo VIII – Turn Loose The Mermaids – Speranza
Siamo tornati al presente. Il vecchio ha smesso di ricordare, sembrano passati secoli da quando ha cantato la ninna nanna al suo nipotino. È arrivato il momento di tirare le fila. “At the end of the river the sundown beams”, questo è ciò che pensa. Ha avuto una vita lunga, fatta di gioie, piaceri, delusioni, esperienze. “All the relics of a life long lived”, vede sé stesso nell’uomo che è adesso, somma irrimediabile di tutti quelli che è stato durante il viaggio che lo ha portato su quella sedia, di fianco alla culla, di fronte a una distesa innevata. La voce di Anette è calma, tranquillizza, il pianoforte la segue imperterrito e attende l’entrata dell’orchestra che lascia esprimere, dopo aver umilmente salutato chi all’inizio della canzone gli faceva compagnia. Un tonfo.

Capitolo IX – Rest Calm – Angoscia
Gli occhi del vecchio si velano di paura. Ha capito che non gli resta molto da vivere. L’espressione è contratta, chiaramente quel tramonto lo ha finalmente interpretato per quello che è in realtà: la morte. Dentro di lui nasce un conflitto, che musicalmente si svolge come un botta e risposta tra le strofe di Marco, cariche di tensioni negative, e il ritornello di Anette che è sempre preceduto da uno stacco che divide i due episodi. Ha paura. Chiede, implora di essere ricordato, come lui ricorda i visi di tutti coloro che ha conosciuto. E sono quegli stessi volti a chiamarlo, a dirgli che è arrivata la sua ora. L’angoscia sale, gli occhi diventano lucidi, forse scende una lacrima.

Capitolo X – The Crow, The Owl And The Dove – Presa di coscienza
La paura fa posto all’accettazione. I suoi pensieri iniziano a farsi chiari. La morte non è l’opposto della vita, ma è una sua parte integrante, come direbbe il buon Murakami. Chitarra classica e batteria svelano un’atmosfera di intimità, quell’intimità che è raggiungibile solo con sé stessi. “[Don’t give me] wisdom nor pride, give innocence instead”, “[Don’t give me] beauty nor rest, give me truth instead”. Ora è pronto, ma resta solo una cosa in sospeso.

Capitolo XI – Last Ride Of The Day – Ultimo desiderio
Quello che vuole è che tutti sappiano. Vuole che nessuno sprechi la sua vita a favore dell’ozio, dei dubbi. “We live in every moment but this one”. Eccolo, l’ormai svendutissimo concetto del “cogliere l’attimo”. Sicuramente nella sua vita ha avuto dei rimorsi, però ha sempre fatto ciò che ha voluto, ha vissuto al meglio, ha preso posizione, non si è fermato davanti alle difficoltà. Vi sembra la solita retorica spicciola, vero?
La canzone è di una potenza impressionante, perché chi sta narrando ha le idee perfettamente chiare, e vuole imprimere con forza l’amore per le possibilità, per le scelte, i bivi. Prendere una decisione, cambiare il corso delle cose, il Butterfly Effect, direbbero i più. Siamo sull’ottovolante. Cori imponenti e riff granitici fanno da sfondo alle magnifiche montagne russe del miglior parco di divertimenti. Si sale e si scende, con il ritornello di una maestà inenarrabile, potente, secco.

Capitolo XII – Song Of Myself
L’immancabile suite. Potrei parlarne per ore, ma preferisco dare a voi l’ingrato compito di descriverla. Non pensate però di imbattervi nel proseguo di quella che fu The Poet And The Pendulum di Dark Passion Play. Siamo di fronte a qualcosa di altrettanto spettacolare, anche se su lidi diversi. Per gran parte della canzone sono presenti delle voci che commentano, dialogano, ammoniscono. C’è un uomo, un bambino, una donna. Parlano, si confrontano, pongono domande.

Capitolo XIII – Imaginaerum
La tredicesima traccia è un grosso riepilogo di tutti gli episodi musicali narrati all’interno dell’album riadattati per orchestra. È un medley che racconta quello che è stato raccontato dall’uomo che ormai ha lasciato il mondo dei vivi. C’è un funerale, tutti piangono, piove, a rendere tutto più surreale. C’è questo Requiem di sottofondo, voluto dallo stesso uomo che ora si trova in quella bara, impregnata più di ricordi che di atomi. Il loculo la accoglie, la terra la copre. E sulla pietra tombale, guardando con attenzione, regna la scritta…

The End

Post Scriptum
Ho voluto, per mia interpretazione personale, dare un titolo aggiuntivo all’ottava, alla nona, alla decima e alla undicesima traccia, perché mi sembrano in qualche modo collegate. Come sempre, i testi di Tuomas nascondono molteplici significati e ognuno è libero di interpretarli secondo suoi gusti e impressioni. Ho voluto inoltre non descrivere nei dettagli quello che andrete ad ascoltare, per non togliere il gusto di assaporare individualmente il viaggio attraverso l’album.
Mi sento ormai libero di poter fare un’affermazione che spero venga accolta dai più: dopo la dipartita di Tarja, Anette è la cosa migliore che potesse capitare ai Nightwish. Spero davvero che questo conflitto, che ormai pare interessare tutti i viewer di YouTube, finisca al più presto per lasciare spazio a commenti riguardanti solo la meravigliosa musica fino ad ora descritta, sottoforma di film. Come saprete, e se non lo sapete ve lo dico io, questo album non è altro che la colonna sonora di Imaginaerum, film che vede la sceneggiatura di Tuomas e dei piccoli camei di tutta la band. Inoltre, tutto ciò che ascoltiamo è frutto dell’immaginazione e dell’estro creativo del Maestro Holopainen. Anette, Marco, Jukka e Emmpu sono solo gli strumenti con i quali l’Artista esprime fantasie, sentimenti, sensazioni, visioni. Si può apprezzare l’interpretazione e l’originalità degli attori, ma la mente è diversa dal braccio, e in questo caso la mente è unica: sinossi, sceneggiatura e regia sono la triade nata da un solo individuo: Tuomas Holopainen. Ed è di questo che si dovrebbe parlare. Concentrarsi su due attori che hanno avuto due parti diverse in due film diametralmente opposti non porta da nessuna parte.
E, lo dico senza mezzi termini, ci troviamo di fronte al capolavoro definitivo. Potrà non piacere, potrà essere a tratti troppo radiofonico per un pubblico abituato alle performance della Turunen. Ma se è così adesso, lo sarà per tutti gli album che verranno, quindi è inutile buttarsi nell’ascolto di Imaginaerum senza togliere un po’ di quei pregiudizi che sono nati intorno alla figura di Anette Olzon, che in quest’album recita e canta divinamente. Siamo di fronte a un’artista poliedrica che è riuscita a capire alla perfezione la mente criptica del compositore. Siamo di fronte a una band che è amalgamata in maniera perfetta, in un equilibrio così stabile da sembrare irreale.
E quindi vado contro tutti. Mi espongo e assegno a questo album il voto per il quale avete sicuramente esclamato qualche insulto nei miei confronti. Perché se è la musica che conta, Imaginaerum ha contato fino a novanta.

Luca Dei Rossi

Curiosità: nell’album sono citati diversi personaggi della Disney, tra cui Peter Pan, il Leprotto bisestile e Alice di “Alice in wonderland” e colei che nel film le diede la voce, Mary Costa. In “Song Of Myself”, all’inizio della canzone, si fa riferimento all’usignolo prigioniero della gabbia d’oro di cui si parla nel ritornello di “The Escapist” pubblicata nel singolo di Bye Bye Beautiful.

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Tracklist:
1. Taikatalvi
2. Storytime
3. Ghost River
4. Slow, Love, Slow
5. I Want My Tears Back
6. Scaretale
7. Arabesque
8. Turn Loose The Mermaids
9. Rest Calm
10. The Crow, The Owl And The Dove
11. Last Ride Of The Day
12. Song Of Myself
13. Imaginaerum

Line-up:
Voce: Anette Olzon
Chitarra: Erno Vuorinen
Basso: Marco Hietala
Batteria / Percussioni: Jukka Nevalainen
Tastiere: Tuomas Holopainen

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