Recensione: Imaginarium
Ho seguito sempre con vivo interesse ogni uscita ufficiale targata Morifade, sin dal lontano 1997 anno di pubblicazione dell’allora acclamato mcd di debutto “Across the starlight sky” uscito per l’allora intraprendente label svedese Loud’n’proud, etichetta che di li a qualche anno avrebbe dichiarato bancarotta, lasciando col culo per terra grandi formazioni come i geniali Freternia, i Persuader, i tenebrosi Seven e gli stessi Morifade.
Molte di quelle formazioni, dopo aver superato un periodo nero, si sono accasate presso prestigiose label, chi con la francese NTS, chi con la Arise spagnola, e chi come i nostri sei baldi giovani con l’olandese HammerHeart. Dunque, c’era un grosso interesse insito in molti addetti ai lavori nel scoprire come fosse realmente il primo cd power della giovane etichetta di Amsterdam dedita più che altro a sonorità diciamo ben distanti da certi canoni a cui i Morifade ci hanno da sempre abituato.
Beh, in definitiva, il nuovo capitolo della saga svedese a titolo “Imaginarium”, lascia quel certo amaro in bocca che difficilmente si riesce a mitigare, anche perché avendo pubblicato in passato un masterpiece della caratura di “Possesion of power”, tutti si aspettavano dai Morifade quel certo salto di qualità che li avrebbe di sicuro proiettati nell’olimpo dei grandi al cospetto degli dei del true metal, e che invece, per la maggior parte delle song ivi incluse, finisce più a deludere invece che entusiasmare.
E dire che le prospettive per fare il grande colpaccio c’erano tutte, in primis una produzione sfavillante ad opera dell’oramai sempre più esperto Andy LaRoque, che nei suoi personali Los Angere studio’s, stà sfornando un numero impressionante di album interessanti (a proposito a quando il ritorno sulle scene dei micidiali Rising Faith? NdBeppe), ed una formazione oramai rodata che può contare sull’apporto di uno screamer di qualità come il possente Stefan Petterson, che assieme all’altro pezzo da novanta Pasi Humpi, rappresenta il meglio che la scena scandinava abbia partorito da Zackary Steven ad oggi.
Si, a livello compositivo ci si aspettava veramente tanto da un fine songwriter come il buon Jesper Johansson da sempre motore instancabile dei nostri, ed invece come detto i brani sembrano per lo più fiacchi e privi di quel quit in più che li avrebbe fatti sollevare dalla media, come se si fossero limitati a svolger il compitino a loro assegnato.
Eppure la grandiosa opening track “Lost within a shade”, mi aveva fatto sobbalzare dalla poltrona, facendomi sfregare le mani a dovere, ed invece, invece dopo il nulla o quasi, solo un’insieme di mid tempo senza infamia ne lode, intervallati da frammenti degni di nota come nel caso della mazzata metallica “In martirya” o dell’altrettanto valida “The secrecy”.
Beh, soli tre brani degni di nota su undici inclusi, mi sembra davvero troppo poco, dunque se riuscirete a sottilizzare e a sorvolare sul resto delle composizioni, questo album fa per voi, ma siccome so che la maggior parte di voi saprà farsi bene i conti in tasca, è meglio sorvolare, che dite?