Recensione: Imago
I Be The Wolf, al secolo Federico Mondelli alla voce e alla chitarra, Marco Verdone al basso e Paul Canetti alla batteria, sono un giovane power trio torinese da poco sotto contratto con Scarlet Records e in uscita in questo periodo con un variopinto debut album intitolato “Imago”.
La loro proposta potrebbe essere descritta come un mix esplosivo e ad amplissimo respiro di hard rock vecchia maniera e pop contemporaneo, talmente ben bilanciato da fra strabuzzare gli occhi (e le orecchie) dallo stupore. La carta vincente? La perfetta convivenza tra riffing e ritmiche il più delle volte di matrice hard rock anni ‘70/80 e un cantato d’impostazione decisamente moderna, in grado di destreggiarsi con grande abilità in territori che spaziano dall’alternative rock dei Muse all’emo, fino al prog avanguardista di gruppi come i The Mars Volta.
Nelle canzoni che compongono la tracklist di “Imago” – molte della quali peraltro caratterizzate da titoli di discendenza cinematografica, dalla tarantiniana Jungle Julia al Comico dei Watchmen di Alan Moore – c’è tutto questo e molto di più. Giri di chitarra veloci e taglienti (come in “Si(g)ns” e nella successiva “Chameleon”, vicine a certe cose dei Buckcherry), hookline melodiche talmente catchy e riuscite da far invidia ai Maroon 5 (come nella stupefacente “The Fall”) e svariate incursioni in territori di volta in volta afferenti al funk/reggae (“Dust In Hoffman”), allo swing (“24”) e al blues.
Menzione a parte la merita poi l’ottima semi – ballata “The House Of the Dead Snow”, a cavallo tra Muse, Sixx A.M. e tentazioni emo: un mix assolutamente peculiare e sulla carta foriero di potenziali scivoloni, quanto nella realtà tra i picchi di maggior qualità di tutto l’album.
La ricetta è indubbiamente particolare e variegata e, seppur la freschezza sia innegabile, va detto che il piatto proposto dai Be The Wolf non sia adatto a tutti i palati sia a causa del suo grande eclettismo, sia a causa del voluto e praticamente continuo sconfinare in territori ben lontani da quella che può essere definita “ortodossia metallica”.
Se, al contrario, delle etichette vi importa fino a un certo punto e quello che andate cercando è un pugno di canzoni curate, divertenti e per nulla banali e anzi in grado di far presagire ulteriori enormi margini di crescita, “Imago” potrebbe regalarvi grandi soddisfazioni.
La versione giapponese dell’album, in coda alle dieci canzoni in scaletta nell’edizione “normale”, sempre all’insegna dell’eclettismo di cui sopra, presenta un‘inaspettata cover: una rielaborazione acustica in chiave emo della bellissima “The End Of Heartache” dei Killswitch Engage curiosa e davvero ben riuscita.
Stefano Burini