Recensione: Immaculate Eclipse

Di Tiziano Marasco - 13 Aprile 2016 - 16:07
Immaculate Eclipse
Band: Nott
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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50

Alle volte il black metal, anche il black metal italico, produce risultati innovativi e affascinanti (vedasi i Progenie Terrestre Pura). Altre volte con risultati canonici ma validi (vedasi Vardan), ma in linea di massima, un po’ come ovunque nel mondo, nella maggior parte dei casi ci si trova ad imbattersi in una moltitudine di (one-man) band anonime.

Inquale di queste categorie si inserisce Nott, progetto avviato nel 2002 da Mortifero, esponente dell’underground bresciano “with the only goal to achieve was to play traditional Black Metal, serving Death” (cit. dalla Bio). La one-man-band ha tuttavia iniziato a produrre qualcosa di concreto solo 5 anni fa, e con gran lena va detto. Subito due Ep, successivamente due album, ultimo dei quali è Immaculate eclipse del 2015. impreziosito da un gran numero di collaborazioni, il disco si presenta subito per quello che è, e per quelli che sono i dichiarati intenti della formazione.

Cioè fare back metal old school registrato alla meno peggio. Chitarre e batteria a mille, urla disumane, suoni sporchi e violenti. Avete capito, si tratta del “solito” album black. Quello per cui l’autore avrà messo indubbia passione, ma che all’ascoltatore “medio” dirà ben poco, a meno che non sia un blackster incallito, di quelli che compra – per dire – pure i demo che escono solo in cassetta. E ci sta, di fatto Immaculate Eclipse è un prodotto destinato solo ed esclusivamente a quella ristretta cerchia di appassionati.

Serve dunque qualcosa dire che in Doomed Ruins il riff è particolarmente maligno, che alla traccia Rite of Passage il growl è particolarmente disumano? No, non serve, perché, come molto probabilmente avete già capito, da quando sono usciti “Battles in the North” o “Nemesis Divina”, perché da quella volta, in questo caso, non è davvero cambiato nulla. Se amate quei dischi, e soprattutto se apprezzate chi a quei dischi si accosta con spirito da purista, potete acquistare tranquillamente quest’album a scatola chiusa. Detto questo, la prova manca di un songwriting di cristallina purezza – certo, nel black metal serve, e si fa appello al sopra citato Vardan – che possa far emergere Nott dallo sterminato sottobosco di questo genere.

Per il resto, ci si troverebbe a riscrivere cose già dette altrove, e spiace dirlo, perché non è che faccia piacere dare giudizi negativi. Cui prodest? Sempe più spesso vien da chiederselo mentre si recensisce un disco di old-school black metal. E chiaramente ce lo si chiede in latino perché è lo stesso black spesso a imporre lo stilema della lingua morta. Ce lo si potrebbe chiedere anche in norvegese, di fatto però nell’ultimo periodo in Italia il genere sta prendendo sempre più piede. Ma se questo è quello che passa il “convento”…

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