Recensione: Immersion
Accompagnato da roboanti dichiarazioni da parte della label («… alcuni giornalisti hanno parlato di uno dei più eccitanti e migliori debutti metal provenienti dalla Germania in questi ultimi anni…»), esce oggi “Immersion”, il primo album di lunga durata dei Words Of Farewell. In realtà si tratta di materiale proveniente dalla fine del 2010 ma è solo nel gennaio di quest’anno che la band ha perfezionato il contratto discografico con l’AFM Records.
Dichiarazioni di facciata a parte, i Words Of Farewell appaiono, in effetti, perfettamente idonei a far parte di un roster importante come quello che fa capo all’etichetta teutonica. Benché siano nati relativamente da poco (2006) e alle spalle abbiano solo un demo (“From Now On…”, 2008) oltre a un EP (“Ashes Of The Coming Dawn”, 2008), il chitarrista solista Erik Gaßmus (membro fondatore) e i suoi compagni si mostrano come musicisti preparati in tutti i sensi, dal songwriting all’esecuzione. E, ciò, nonostante la loro vita, come ensemble, sia stata contrassegnata, anche, da alcuni importanti rimaneggiamenti della line-up.
“Immersion” si presenta, sin dal primo ascolto, come un lavoro controverso. Da un lato c’è uno stile, il progressive/melodic death metal, che ha già detto tutto in termini d’innovazione e/o inventività; dall’altro c’è un talento compositivo non comune, che rende le dieci canzoni del disco piacevoli e accattivanti. Seppur poco originale, la miscela composta dai suddetti generi è assai equilibrata, neutra; senza, cioè, esagerazioni né da una parte, né dall’altra. Niente capitomboli ritmico/armonici, insomma, e niente melodie sdolcinate. Questa caratteristica ci mette un po’, a svelarsi poiché, per l’appunto, il misurato approccio dei Nostri alla questione rischia di farli scivolare immediatamente nell’anonimato. Circostanza che non deve accadere giacché, approfondendo gli ascolti, poco alla volta emerge l’ottima qualità artistica dei singoli brani. L’avvicinamento dei Words Of Farewell al mondo del death è più dolce che aggressivo e, anche se questo possa sembrare un controsenso, consente loro di sviluppare con una buona dose di personalità un sound che, se non originale, si presenta riconoscibile e, soprattutto, ben definito. Quest’innata propensione all’equilibrio energetico posseduta da Alexander Otto e soci permea, infatti, tutto il CD. Da “Project Daybreak” a “Sundown Serenade” non c’è soluzione di continuità, in tale visione che predilige l’approfondimento emotivo alla furia cieca. Lo stesso Otto, con il suo potente ma un po’ monocorde growling, e la massiccia – anche piuttosto veloce – sezione ritmica costituita da Nils Urginus al basso e da Jonas Wübbe alla batteria, garantiscono il marchio melodic death metal; mentre le chitarre di Gaßmus (molto bravo) ed Henrik Tschierschk, assieme alle tastiere di Leo Wichmann, forniscono spesso e volentieri quel tocco di progressive metal che amplia la gamma compositiva dell’ensemble.
E, giusto per rimanere in tema di prog, così si apre “Immersion”: con “Project Daybreak” che, nell’incipit, ricorda un po’ i Pagan’s Mind dell’inarrivabile “Through Osiris Eyes” (“Celesial Entrance”, 2002). I Words Of Farewell camminano comunque con le loro gambe, centrando un ritornello gradevole con – in mezzo – un grande, arioso break melodico. “Ever After” è l’occasione per ricordare che anche il power metal, quand’è robusto, non è certo musica da signorine. Wichmann s’inserisce spesso con un piglio, quasi, da trance music, conferendo ulteriore spessore e colore al sound del combo proveniente da Marl. Con “End Of Transmission” giunge il primo brano fuori dal coro. Apparentemente ordinario, si rivela ben presto straordinario in virtù di un chorus struggente come pochi, in grado di far vibrare le corde dell’anima. “On Second Thought” è l’occasione, per i Words Of Farewell, di mostrare i muscoli: fra un’armonia e l’altra spuntano i blast beats di Wübbe. Le morbide note della strumentale “Auriga” fanno da spartiacque per la seconda metà dell’immersione, che propone al volo un altro momento d’eccellenza: la trasognante “The Great Escape” e i suoi soli di chitarra/tastiere. Un po’ più heavy, “Urban Panorama” conferma la capacità dei mitteleuropei di saper disegnare pezzi che piacciano. Il poderoso muro di suono alzato dalle chitarre ritmiche (e l’odore di In Flames) rende “Sorae” l’ideale apripista alla migliore di “Immersion”: “Vagrant Story”, brano che sintetizza al meglio le caratteristiche positive possedute dai Words Of Farewell. Melodiosità, velocità, drammaticità, potenza, ariosità, visionarietà. L’epica semi-suite “Sundown Serenade”, fra i delicati sussurrii della voce di Otto, mette degnamente la parola fine all’opera.
Innovazione ed evoluzione sono termini che non trovano riscontro in “Immersion”. Attenzione, però: i Words Of Farewell sono ‘macchine da canzone’ e, quindi, chi basasse il proprio giudizio sull’aspetto stilistico e basta, perderebbe dei momenti di ‘semplice’ musicalità davvero notevoli.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Project Daybreak 5:50
2. Ever After 5:14
3. End Of Transmission 5:11
4. On Second Thought 3:49
5. Auriga 0:52
6. The Great Escape 5:09
7. Urban Panorama 5:21
8. Sorae 4:48
9. Vagrant Story 5:12
10. Sundown Serenade 6:46
Durata 48 min.
Formazione:
Alexander Otto – Voce
Erik Gaßmus – Chitarra
Henrik Tschierschky – Chitarra
Nils Urginus – Basso
Jonas Wübbe – Batteria
Leo Wichmann – Tastiere