Recensione: Immutable
Abbiamo aspettato Fredrik, Fredrik è tornato, tutto è bene quel che finisce bene e Immutable è finalmente qui tra noi! Il nono album dei Cinque Madrigalisti Moderni offre ben tredici brani e ha una durata complessiva che si assesta attorno ai 67 minuti (66.66 l’output del cd??).
“Il titolo si adatta perfettamente a dove siamo come band. Siamo più vecchi ora. La maggior parte di noi ha cinquant’anni, e siamo quel che siamo. Anche se abbiamo sempre sperimentato nel corso della nostra carriera, penso anche che siamo sempre stati gli stessi dal primo giorno. Il modo in cui ci approcciamo alle cose e il motivo per cui facciamo ancora nuovi album e suoniamo ancora nel modo in cui lo facciamo sono immutabili. Anche l’umanità è immutabile. Commettiamo gli stessi errori più e più volte. E noi siamo immutabili. Facciamo quello che facciamo e non cambiamo.”
Il buon Mårten Hagström parla così dell’opera e potremmo già chiudere il pezzo. Sapete a cosa andrete incontro, né più né meno.
Facendo un po’ di cronaca, invece, possiamo dire che la prima metà dell’album è devastante. Si parte in quinta con Broken Cog, che di primo acchito pare un brano strumentale e vede Jens spuntare in formissima solo verso il suo concludersi. The Abysmal Eye è invece la prima bomba atomica sganciata dagli svedesi e rade al suolo praticamente tutto. A livello ritmico ricorda molto il modus operandi dei Gojira ma ovviamente col particolare sistema di accenti di Haake e soci. Il risultato è ottimo e giustamente sfruttato come primo singolo. Light The Shortening Fuse rallenta ma non troppo ma è Phantoms il secondo highlight del disco. Il riffing qui è micidiale, più semplice rispetto ai Meshuggah soliti ma altrettanto pericoloso; il ponte manda totalmente al manicomio e dal vivo farà sfracelli.
Ligature Marks rallenta le ostilità con una seconda chitarra molto alta e predominante e gli accenti alla massima potenza distruttiva, altro ottimo brano insieme alla seguente God He Sees In Mirrors, che ha dalla sua un ritornello davvero particolare.
Kaleidoscope è un buonissimo brano che ha però il problema di essere schiacciato come un sandwich da They Move Below R e Black Cathedral, che sono entrambe strumentali. La prima sfiora i dieci minuti e alla lunga arriva ad essere interminabile, mentre la seconda sciorina una paio di minuti di sola chitarra in tremolo. I Am Thirst, secondo singolo dell’album, riprende in mano le redini del discorso assieme a The Faultless mentre il gran finale è affidato a Past Tense e Armies Of The Preposterous. La prima è un terzo brano strumentale di sola chitarra mentre la seconda è una delle tracce migliori e più aggressive del lotto.
Si può chiedere di più ai Meshuggah nel 2022? Onestamente no e va benissimo così. Immutable è il naturale proseguo di The Violent Sleep Of Reason, nulla di più, nulla di meno. Se non vi piacevano prima non vi piaceranno ora, e ovviamente se li adoravate prima adorerete anche Immutable. Niente appunto è cambiato e la qualità, nonostante una maggiore semplicità nei brani, rimane in ogni caso altissima. Ci sono gli assoli di Fredrik, la sezione ritmica allucinante di Thomas, le harsh di Jens e tutti i marchi di fabbrica che dovrebbero esserci. Qui l’ago della bilancia possono essere i tre brani strumentali: in soldoni parliamo di una ventina di minuti ripartita in tre tracce e ad ogni ascolto si ha la netta sensazione che il disco sarebbe andato benissimo anche senza! Quisquilie, siamo come sempre di fronte a tanta roba, sazi a volontà e va benissimo così.
Gli altri ci provano, in tutte le salse: dal free jazz punk inglese a dischi tripli con tutte le battute diverse, dalle campagne alle città, dalle stelle alle stalle, ma di Meshuggah c’è comunque una band sola e ogni ritorno rimette le cose a posto e focalizza un punto: il trono è immutabilmente loro.