Recensione: Impious
Sebbene sia autore di uno dei dischi black più incisivi degli ultimi anni, sotto il monicker di Kanonenfieber, il mastermind Noise non intende certo oziare ed ecco che ci troviamo dinanzi ad Impious, l’ultimo lavoro di un ulteriore progetto collaterale, i Non Est Deus. Tale ulteriore incarnazione della sensibilità e dell’estro artistico di Noise è in vita sin dal 2018 ed ha all’attivo ben altri due lavori. Come il nome scelto per la formazione può ben far immaginare, viene messo momentaneamente da parte il repertorio tematico bellico e belligerante per approfondarsi nelle contraddizioni legate alla religiosità ed alla sua espressione, in tutte le sue forme. Siamo dunque al cospetto di un tema variamente esplorato e declinato nell’ambito della musica estrema, qualsiasi essa sia, e persino nell’alvo di un genere piuttosto codificato e consolidato, perlomeno nella sua declinazione qui presa in esame, abbracciante sonorità che spaziano dal depressive all’atmospheric. Riuscirà dunque Noise a conviverci, ancora una volta? Basterà tuttavia far diffondere il disco nel nostro impianto preferito per fugare, seppure non tutti i nostri dubbi, almeno alcuni.
Un soffuso canto gregoriano ci catapulta nella opener Save Us, immediatamente caratterizzata da un riffing graffiante, che in parte ricorda il miglior melodeath di scuola svedese, in parte adombra suggestioni dissectioniane, il tutto orchestrato con sapienza e consapevolezza dei pochi mezzi sicché, seppure le influenze si presentano come particolarmente tangibili e ben riconoscibili, ne risulta in ogni caso una traccia fresca e ben godibile. Particolarmente ammalianti risultano gli inserti in chitarra acustica e lo spoken word, fornenti un dinamismo intrigante alla composizione. Impious ci offre inoltre brani come Hexenwahn, presentante elementi heavy e mid tempos sepolcrali che impreziosiscono ulteriormente il respiro dell’opera nonché cavalcate furibonde, serrate ed inesorabili come Fuck Your God e Flagellation. Christraping Polka risulta invece piuttosto peculiare nell’impianto e nelle sonorità, e quasi ammiccante al primo Burzum in alcune sezioni . A chiudere la produzione è The Ascension, composizione più lunga del platter, nella quale un riffing fitto ed intenso in chiave minore, unitamente ad una sezione ritmica marziale ed impenetrabile fa da sfondo ad una disperata preghiera, protesa verso un Dio contraddittorio, assente nella sofferenza del suo fedele e per nulla misericordioso:
The flames begin to devour me
I lift my eyes right to the sky
Here I come for you, my lord
Come and see my sacrifice!
The pain is getting unbearable!
I scream, I cry, I laugh, I smile!
A few more minutes for me to wait!
Till I can rise up to the sky!
I quaranta minuti che compongono Impious scorrono dunque piacevolmente, senza che vi siano reali cali di tensione o istanti di noia. Le composizioni risultano ben studiate, arrangiate con passione e genuina ispirazione, e nonostante le palesi e numerose influenze qui rilevabili, sono forgiate da un’impronta personalissima e ben riconoscibile. Il tutto è caratterizzato da una produzione asciutta, grezza ma in grado di valorizzare comunque tutti i layer strumentali presenti. Si tratta, in poche parole, di un disco ben realizzato e pienamente godibile, in grado di riconfermare ancora una volta la validità di questo musicista, che, per inciso, non sembra avere alcuna intenzione di fermarsi qui.