Recensione: Imposition Servant
Con la grazia di un maglio scagliato sul cranio, gli Imposer presentano il
primo full-lenght: Imposition Servant. A distanza di tre anni dal demo
“Warthrone”,
i nostri confezionano un disco dal gusto retrò, con riferimenti fin troppo
evidenti al brutal death dei primi anni novanta.
Quindi sette tracce per una ventina di minuti di death metal nella versione
più grezza, ruvida ed intransigente possibile, ben lontano dalla patina
professionale ed ultratecnica che sta assumendo la maggior parte dei dischi
del settore. I principali mentori dei trevigiani sembrano proprio essere i
Cannibal Corpse dei primissimi dischi, rivisitando tutte le peculiarità che
hanno reso indelebile l’apporto dei macellai di Buffalo al death metal: riffing
dinamico e tagliente, voce cavernosa, batteria precisa ed inesorabile. Ma
arriviamo subito al nodo della questione: gli Imposer non sono i Cannibal Corpse
(e di questo non gli si può fare certo una colpa) ma soprattutto oggi non siamo
più nei primi anni novanta, un certo tipo di sonorità è praticamente defunta, o
meglio, non stupisce più nessuno. Qui sta invece la mia critica nei confronti di
questi ragazzi.
Ormai suonare puro e semplice brutal death, e venire apprezzati
adeguatamente, è diventato molto difficile anche per band blasonate e di
riconosciuta bravura. La musica di questo Imposition Servant al giorno d’oggi
non ha le carte in regola per poter imporsi. Non tanto per la mancanza di grinta
di questi ragazzi (tutt’altro che insufficiente) ma per la scelta stilistica
varata per questo debutto, cioè un canonicissimo death senza particolari spunti,
troppo legato a certi stilemi classici del genere che non hanno più lo stesso
effetto di qualche anno fa. Mi rendo conto che nella composizione di un disco
(almeno a questi livelli) si lavori più per se stessi che per venire incontro al
pubblico, ma così facendo si rischia di sbattere contro un muro di gomma.
Sarebbe stato più utile fermarsi e ragionare su come il brutal si stia evolvendo
e capire quali siano gli sbocchi che oggi questo genere offre. O si sceglie la
via della contaminazione con altri stili, cercando di variare un po’ il tema
(come hanno fatto recentemente i The Monolith Deathcult ad esempio) o si percorre la via della coerenza e
dell’annichilimento supportati da una padronanza tecnica elevatissima e da un songwriting più elaborato (vedi
gli ultimi dischi di Hate Eternal ed Immolation),
senza la certezza di riuscire comunque a centrare l’obiettivo.
Tutte qualità che sono difficilmente acquisibili, se non con esperienza ed
estrema dedizione alla causa, che pongono gli Imposer lontanissimi dalle
band citate. La strada per ora è tutta in salita.
Stefano Risso
Tracklist:
- Serve The Imposition
- As They prey
- Advanced Putrefaction
- Cospect
- Blood From My Eyes
- Gates Of Salton
- May Satan Impose His Curse